Ho chiesto a uno dei miei figli che ama il cinema cosa ne pensava di David Lynch. Ha fatto una faccia e spalancato le braccia: «Bà, è come Fellini… Come si fa a dire che non piace…». Avevo appena visto in tv “Una storia vera” che mi era piaciuto da matti e mi vergognavo di conoscere così poco e male questo autore extra-ordinario con oltre 50 film al suo attivo. Per non parlare della sua attività di pittore: la esposizione di 12 litografie, curata dalla Fondation Fellini di Sion, era stata per me la cosa più attraente della grande mostra dedicata a Fellini dentro Castel Sismondo. Roy Menarini, responsabile dell’allestimento riminese, aveva acutamente notato come fosse la prima volta che Lynch confessava di avere avuto Fellini come fonte di ispirazione, anzi come maestro! Ma mio figlio aveva diagnosticato a botta sicura: «Bà, è come Fellini…».
Fellini e Lynch sono un bel paradosso per le nuove generazioni. Pochi hanno il coraggio di dirlo, ma quasi tutti lo pensano: i loro film attraggono e affascinano, certo, si riconosce che sono “importanti”, ma non spenderebbero neppure 3 euro per vederli con gli amici. I più intellettuali vi diranno che “I vitelloni” sono noiosi e prolissi, i più sempliciotti alzando le spalle diranno semplicemente «che palle!». E molti giovani spettatori americani diranno «ma che schifo!» dopo aver visto, se mai lo vedranno, “La mente che cancella”.
Che i riminesi non amino i film di Fellini, Fellini stesso era il primo a saperlo. Per questo ci veniva di nascosto, come tutti sanno. Leggete “Patachedi”, il racconto delle loro scorribande scritto da Titta Benzi, sono davvero esilaranti! E leggete anche “Storia in briciole di una casalinga straripata” della sorella di Federico, Maddalena, che getta uno sguardo da dietro le quinte su questo incredibile personaggio che ha marcato per sempre, prima ancora che la storia del cinema, l’antropologia stessa del nostro Paese, la nostra “dolce vita” fantasticata, il Rex su cui viaggia la nostra immaginazione irrequieta.
I suoi film non piacciono ai giovani, dicevo; e tanto meno ai vecchi, aggiungo. Ma gli “spot” tratti dai suoi film, ridotti a moderni cammei da Youtube, blog visuali, quelli piacciono un sacco! Lo zio matto che da in cima all’albero grida «Voglio una donna!» con la suorina nana che sibila «vin zo’ , pataca!»; o l’Anitona alla fontana di Trevi, i girotondi circensi, i toboga giganti che hanno affascinato persino David Lynch, quelli vanno alla grande: perché sono “felliniani”! Federico, che era un genio, sapeva bene che il suo destino era quello di diventare un aggettivo. Non solo lo sapeva, ma lo dichiarava pubblicamente! Questa è la condanna che gli viene inflitta nel dopo morte del film fortunatamente mai girato, quel “Mastorna” che va e sempre ritorna, sulla terra – perché non c’è altro paradiso – col suo violino nell’astuccio.
Ma la cosa davvero strana è che questo stesso destino sembra riguardare anche David Lynch, il regista americano che nasce a Missoula, nello stato del Montana, lo stesso giorno di Federico: il 20 gennaio, ma “solo” nel 1946 (è dunque esattamente di ben 26 anni più giovane di Fellini). Basta così? Macché: questa sconosciuta cittadina del più misterioso fra gli Stati dell’Unione americana dista pochi chilometri dal borgo minerario di Rimini, o Remini (lo sapevate, vero, che ci sono ben due Rimini, negli Stati Uniti?) , oggi una città fantasma che sta riproponendo come turismo povero le sue capanne da minatore restaurate. E poi non ditemi che i destini dei geni non si intrecciano misteriosamente! Come Fellini anche Lynch inizia la sua carriera come disegnatore. Lynch ha 14 anni quando Fellini inizia ad annotare i suoi sogni. Ne ha 24 quando gira il suo primo corto – “The grandmother ” – storia di un bambino picchiato che fa crescere la nonna da un seme. Cinque anni più tardi, nel ’75, inizierà a girare il suo primo lungometraggio, quello che nel 1977 diventerà il suo capolavoro, “Eraserhead”.
Di qui in avanti Lynch sperimenta non solo tutti i possibili registri dell’inconscio (come fa Fellini nel “Libro dei sogni”) fino al limite dell’horror (in “Mulholland Drive ”, Palma d’oro a Cannes 2001) ma addirittura “teorizza”– guarda caso – l’esperimento di girare i film senza un copione definito (come ne “L’impero della mente ”) grazie al quale riceve a Venezia il Leone d’oro alla carriera. Fellini applaudiva dal Purgatorio del Mastorna…
Ho sotto gli occhi le copertine che gli allievi dell’Accademia d’arte Laba di Rimini hanno disegnato per raccontare la loro idea di Fellini. Sono dei semplici quaderni concepiti da artisti in erba, testimoni inconsapevoli di questo mistero che accomuna, mi pare, Lynch e Fellini nell’essere protagonisti loro stessi di un film che forse nessuno ha mai visto perché
né Federico né David l’hanno mai concluso; ma che aleggia come un mantra nella creatività diffusa di questa nostra amatissima città di mare, così come nel suo alias americano, nel sassoso Montana. Due registi misteriosamente simili che operano nell’immaginario collettivo.
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