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Editore per sbaglio!

Piaceva un sacco a Bruno Ghigi raccontare come si era inventato quel mestiere dopo essere stato ingiustamente licenziato dal Comune  nell’immediato dopoguerra. Si era messo a stampare carte geografiche che andava a vendere porta a porta in tutte le scuole d’Italia per portare a casa la pagnotta. La sua “redazione” era un panchetto fra due scaffali nel negozio di profumi e chincaglierie che la moglie aveva proprio di fianco al Teatro Galli, una di quelle botteghine d’altri tempi che sarebbe stato saggio salvare come gioielli storici preziosi. E lì, accovacciato per terra, con le sue bozze da correggere, l’errore era diventato un mestiere vero e il mestiere  una passione sviscerata. Sono diventato editore! esclamava, fiero di quel virus che aveva contratto, più forte del Covid che l’ha vinto ieri, ormai sazio di anni e di ricordi, pieno di cicatrici per la molte battaglie fatte, quasi tutte perse, va detto in suo onore. Sua, non delle cosiddette Istituzioni, fu l’idea di ristampare anastaticamente l’intera poderosa Storia di Rimini  del Tonini in 9 volumi. Sua la “riscoperta” dei Malatesta, anzi dei Malatesti, e l’avvio di una poderosa ricerca storica su tutte le vicende dei signori di Rimini, indagati in fondamentali Giornate tenute in giro per l’Italia, da Mantova a Montemarciano, coi relativi Atti. Sua la passione per le testimonianze belliche e per la ritirata di Russia. Sua la più bella serie di libri dedicati alle città romagnole. Non badava alla grafica, Bruno, stipava nelle sue pagine quanta più roba possibile. Così per le sue memorie, un calderone quasi impraticabile di foto sfocate, informazioni genealogiche, mappe della linea gotica. Il suo ritratto. Mi piace citare qualche riga della introduzione scritta da mio cognato Angelo Marconi, sponsor di Ghigi quando era Presidente della Banca Popolare dell’Emilia Romagna di Cesena, al libro, Le Donne di Casa Malatesti, strenna” natalizia di quell’anno 2005:

“Una Banca che crede al proprio futuro coltiva prima di tutto le proprie radici culturali. E una Banca che ha a cuore i propri “clienti”, li pensa fisiologicamente come “lettori” che a loro volta coltivano non solo i propri  affari ma anche il gusto della Storia e di tutto ciò che è bello. Quest’anno, una piccola licenza alla nostra convinta “romagnolità” ci autorizza a dedicare questo libro principalmente alle nostre clienti imprenditrici”.

Averne di sponsor così, vero Bruno? Adesso che finalmente la citta di Rimini dedicherà la Piazza della Darsena all’Ing. Marconi, vuoi vedere che magari si  troverà anche, nei pressi di Castel Sismondo, una via da dedicare al più bravo, genuino e ruspante degli editori riminesi? : “Strada della cultura malatestiana Bruno Ghigi”.

Cosa vuol dire fare l’editore

Mi diverto spesso a chiedere ai ragazzi cosa vuol dire fare l’editore e ogni volta scopro con rinnovato stupore come sia difficile cogliere l’essenza di questo strano “mestiere”: “l’editore è quello che scrive i libri (no! quello è l’autore), l’editore è quello che li stampa (no! quello è lo stampatore), è quello che li vende (no! quello è il libraio), allora li distribuisce (no! è il distributore)”.
Allora, cos’è un editore?
Mi perdonerete se la prendo un po’ alla lontana.
Alessandro Manzoni quando cominciò a pubblicare i suoi “Promessi sposi” continuava a correggere il suo testo man mano che i fogli andavano in stampa.
La stampa era fatta foglio per foglio e chi ha qualche esperienza da bibliofilo sa che non esistono quasi due edizioni dei Promessi sposi che siano identiche una all’altra, proprio perché il lavoro di scrittura, come giustamente sostiene Guido Conti, è una continua riscrittura del testo e questo “interagiva” con la tecnologia che allora veniva usata. La macchina tipografica era infatti una macchina lentissima, in cui i fogli passavano sotto un rullo che li comprimeva sulla composizione della pagina fatta con caratteri mobili, di legno o di ferro, messi in fila uno ad uno e “sporcati” di inchiostro; il foglio stampato veniva poi piegato in quinterni e finalmente rilegato. Mentre si stampava un foglio Manzoni faceva a tempo ad apportare correzioni alla composizione della pagina successiva!
Poi sono arrivate la linotype, delle macchine compositrici che erano come delle gigantesche macchine da scrivere collegate a un forno dove veniva fuso il piombo che formava una riga intera di testo; poi è nato l’offset e la rotativa : le macchine erano gigantesche ma macinavano migliaio di copie in pochissimo tempo ( i testi venivano incisi su un cilindro, che ruotava velocissimo); poi finalmente è arrivato il computer, il famoso desk-top-publishing. E questa è praticamente l’ultima innovazione tecnologica che ha rivoluzionato il modo di fare editoria.
Ma il computer è arrivato pochissimo tempo fa ed è fondamentale capire che la rivoluzione che ha apportato è ancora in atto. Siamo ancora, potremmo dire, nella fase del travaglio. E il “bambino” che nascerà da questo parto si intravede appena.
A proposito del titolo di questo incontro, un po’ apodittico, “Internet: necessità o amore” io mi permetterei di dire che è una situazione di fatto, come una nascita appunto, come un bambino che nasce. Certo, è frutto in qualche modo anche d’amore, nel senso che qualcuno ha progettato queste grandi trasformazioni epocali, pensate a Bill Gates che era un ragazzo della vostra età pochi anni fa, ma con una genialità straordinaria, che ha innescato un meccanismo straordinario di cambiamento della realtà. Noi siamo ancora dentro questo cambiamento che non è terminato. L’editoria è esattamente dentro questa fase di travaglio, di cambiamento quotidiano.
Una seconda annotazione.
Noi abbiamo appena costituito l’Europa; è vero che la Svizzera è in una situazione particolare ma voi percepite molto bene che c’è un processo di metamorfosi politico-culturale straordinario. Noi abbiamo sempre fantasticato sul fatto che la Svizzera parlava contemporaneamente quattro lingue ed era per noi un fatto affascinante … Ebbene, sapete quante lingue parla l’Europa? Ottantaquattro. L’Europa è una realtà politica e geografica che parla 84 lingue! Bisognerà limitarle, ridurle? Neanche per idea. La lingua è una ricchezza della cultura. Questa abitudine a pensare l’Europa come una realtà multilingue è una cosa recentissima perché fino a poco tempo fa i nostri ragazzi crescevano convinti che al mondo si parlasse solamente la lingua, se non addirittura il dialetto, che si parlava a casa loro. Internet, di colpo, ha svelato questa diversa realtà; di colpo attraverso Internet posso accedere alle biblioteche slovene, cecene, slovacche, ceche, scoprire che esistono dei paesi del Nord che non avevo mai sentito nominare, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia, cose fantastiche. Occorre dire noi abbiamo avuto anche un dramma storico che si è chiamato “cortina di ferro”, cioè la spaccatura del mondo in due grandi aree Questo ha creato non solo una spaccatura politica ma anche una spaccatura culturale; una parte delle culture che si sviluppavano di qua del muro non passavano dall’altra parte. Un’intera realtà ci è stata preclusa e grandi culture sono rimaste del tutto sconosciute. Internet e la nuova modalità di diffusione in tempo reale di culture, di lingue, di contenuti è diventato di colpo una specie di lente d’ingrandimento su ciò che ci era sconosciuto e produce delle modificazioni “culturali” di cui ancora noi non percepiamo le conseguenze.
Faccio ancora un altro esempio. Fino a ieri, per fare un libro, un editore doveva investire molto denaro, perché bisognava pagare il tipografo, il cartaio, il fotolitista, il legatore, dopodiché – dopo avere speso in anticipo tutto questo denaro – quel libro bisognava in pure distribuirlo; e la distribuzione era fatta di persone fisiche, di strutture organizzative, di depositi regionali, una rete estremamente complessa di commercio. Distribuire un libro non era molto diverso dal distribuire un pacco di spaghetti. Ma la differenza fra il libro e lo spaghetto è che il libro è sempre diverso uno dall’altro, un autore è diverso dall’altro, un lettore diverso dall’altro, mentre gli spaghetti sono sempre uguali! Tutto molto complicato!
Pensate ora a cosa succede nell’era di Internet.
L’editore finalmente considera il contenuto del suo libro come una cosa distinta dalla sua forma fisica, dalla sua forma merceologica. Il libro non è più quella cosa fatta di carta rilegata che uno trova in quel negozio che si chiama libreria. È fondamentalmente un contenuto immateriale. Il libro di Guido Conti è prima di tutto un contenuto immateriale: è nato nella testa del suo autore, si è trasferito nel suo computer e di lì prende tutte le forme possibili e immaginabili. Questo è quello che sta succedendo nell’editoria. Il libro è diventato un contenuto immateriale che può essere divulgato e diffuso via Internet, che può essere recepito, scaricato, stampato ovunque nel mondo, in tempo reale, a costo zero. L’editore, pertanto, può permettersi di pubblicare il libro in qualunque lingua perché non è più rilevante il contesto commerciale, la rete distributiva. Qualunque libraio del futuro, in teoria, potrà scaricare da Internet il libro che interessa il suo cliente, in qualunque lingua; lo stesso potrà fare il bibliotecario ovunque si trovi stampando ad Istambul, con le tecnologie della stampa digitale, una cinquecentina acquistata dalla Biblioteca di Lione. Questo è quello che si chiama distant publishing e print on demand. Io stampo su richiesta , a costi molto bassi, il file che mi interessa, prelevandolo da quella specie di serbatoio gigantesco che è Internet.
E importante capire che il file immateriale che viene distribuito attraverso Internet comprende esclusivamente la fase “tipica” del lavoro editoriale, senza più confusioni con tutti gli altri anelli della filiera tradizionale (il tipografo, ecc) : possiamo dunque finalmente rispondere alla domanda iniziale!
Il lavoro editoriale è quello che si esprime in un progetto comune dell’autore che ha scritto quel testo e dell’editore che lo ha scelto – individuandone le qualità – e pubblicato, cioè “reso pubblico”, diffondendolo. Il libro, diceva Escarpit è la sua diffusione. E oggi la sua diffusione è potenzialmente una diffusione su scala mondiale.
Innestando questo meccanismo a livello scolastico e a livello didattico, come abbiamo sperimentato con Guido Conti e la sua classe di studenti, abbiamo finalmente reso “visibile” il lavoro editoriale: una normalissima classe di ragazzi ha sperimentato dall’interno cosa vuol dire lavoro creativo, si sono addestrati a leggersi e a rileggersi, a scrivere e a riscrivere; e finalmente ha pubblicato il suo libro e lo ha diffuso fra tutti gli interessati, che in questo caso coincidevano in gran parte con gli stessi autori e i loro amici; ma l’esemplificazione, la modalità del fare editoria ha assunto un valore culturale enorme, un valore didattico straordinario e persino ha consentito l’innesco di un meccanismo economico sufficiente a rendere pagato il lavoro dell’editore perché quelle 100 copie vendute erano sufficienti, e il risultato economico, in microscala, poteva ritenersi soddisfacente. Ma soprattutto, il file – cioè il contenuto immateriale di quel lavoro didattico – è oggi in rete e teoricamente leggibile da migliaia di altri ragazzi.

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