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Lettera di commiato

La logistica per la consegna in tutto il mondo di centinaia di milioni di dosi vaccinali che debbono viaggiare a meno 70 gradi, con migliaia di camion e container riconvertiti a freezer, ha una logica quasi militare. Non è roba che si fa in un giorno e sono fiumi di denaro. Al contempo, ci viene presentata l’auto elettrica del futuro, quella di Apple, che farà impallidire la Tesla di Musk, a cui viene lasciato però il ruolo di tour operator dello spazio per i nuovi ricchi.

Ricavo queste e altre notizie dal Corriere della Sera che sta sperimentando il nuovo modo di fare giornalismo a pagamento nell’era delle edizioni online fatte su misura, il famoso on demand.

C’è qualcosa di stonato in tutto questo, un’euforia drogata. Per me un segnale. Con il il vaccino alle porte è tempo di smettere il monitoraggio dei livelli di paura che come un seme è stato seminato ad arte in attesa che la classe politica mettesse fine alle turbolenze intestinali in atto, in vista del futuro e definitivo assetto del potere (e della nomina del prossimo presidente della Repubblica, l’Apple Cardopola pandemia). Il fiume di denaro che i nuovi padroni dovranno gestire nel dopo pandemia non servirà certo a pagare i biscotti e le camomille degli anziani decimati nelle case protette dove li avevamo incarcerati, uccisi dall’egoismo di un modello sociale che tollerava a fatica disabili e improduttivi. Ci ha pensato l’invisibile sicario incappucciato di nero e con la falce in mano, come in un film di Bergman.

In questa poco felliniana “Prova d’orchestra” sono in troppi a stonare. Siamo, con oggi, alla trentottesima dose di questi miei poveri Antidoti culturali, senza logistica alle spalle e senza feedback. È ora di smettere, come feci molto tempo fa con i miei articoli su Ariminum, il giornale che avevo visto nascere per le amorose cure del mio amico e autore Manlio Masini. Me lo ritrovo oggi in mano, quel suo giornale, come un segno, in forma di numero monografico dedicato a Fellini, con la firma di due nuovi direttori, Andrea Montemaggi e il bravo, iperattivo e ormai onnipresente Alessandro Giovanardi. Capisco subito che così come ho iniziato questa avventura con Fellini, con Fellini mi toccherà terminarla.

La monografia che ho fra le mani è articolata in 16 capitoli, ben scritti, alcuni per mano di mie vecchie conoscenze, come Italo Cucci e Italo Minguzzi, poi persi di vista nel dilagare della vita perché impegnati in battaglie e su campi da calcio diversi da quelli che ho praticato io. Una generazione comunque di vecchi riminesi doc che ricompare sulla scena del delitto “felliniano”, richiamata dal Master Chef per cucinare un bel panettoncino di Natale, ben farcito, con gustosi canditi inevitabilmente autoreferenziali; ben incartato nell’arguta critica sui rischi del museo/mausoleo che lo stesso chef stellato riconduce al «vespasiano per i piccioni» aborrito da Fellini. Ma temo sia un dolce avvelenato.

Non vi troverete traccia del ritorno trionfale di Fellini al Grand Hotel voluto da Marco Arpesella nel 1983, dopo anni di “bidoni” tirati dal maestro al paesello natio: quell’omaggio straordinario della città al suo figlio transfuga e bugiardo, con la tv di Stato al completo capitanata da Sergio Zavoli sembra non essere mai esistito. Non c’è traccia della storia (dolorosa) della casina sul porto e del lungo oblio successivo di Fellini che ho avuto il torto di denunciare per un ventennio fino alla nausea; fino a quando l’oggettiva (ma un po’ cinica) bravura del sindaco Gnassi e i milioni del ministro Franceschini non hanno avuto bisogno del colpo di fulmine felliniano per condensarsi improvvisamente dalle nuvole della politica romana e piovere abbondantemente sulla nostra città. Non c’è traccia del cinema Fulgor rinato come bordello parigino più che come amarcord di Amarcord (film non amato dai riminesi). Scomparso anche dalla programmazione della “vernice ”. Scomparso anche Umberto Eco seduto vicino a me e ad Arpesella nel giardino al momento dell’apparizione grandiosa del Grand Rex (che nel souvenir di Cavriani sopravvive solo come fotogramma fuori contesto). E neppure la primigenia e poderosa rivisitazione de La mia Rimini predisposta per il Festival di Cannes sembra mai esistita in questa misteriosa storia del rapporto di Fellini con la sua città. E pur parlando abbondantemente del Libro dei sogni, non c’è traccia della sua versione digitale e trilingue curata da Paolo Fabbri e dal sottoscritto in tre lunghissimi anni di lavoro con Piero Meldini e tanti altri: svaniti nel nulla.

Si chiama damnatio memoriae. E qualunque sia la ragione – o la causa –di questo modo di concepire l’informazione, sappiano gli amici di Ariminum che non ha mai portato a buoni risultati. Nel suo Inferno immaginario preconizzato dal bravo e davvero compianto Dario Zanelli (Edizioni Guaraldi) il povero Fellini dovrà vederne ancora delle belle.

Fellini unisce e divide. Ricordo di Peter Bondanella

La notizia della morte di Peter Bondanella mi è giunta indirettamente, con grande ritardo, per il tramite di Delia Tasso, che a sua volta l’aveva saputa dal collezionista americano di cose felliniane, Don Young. E’ passato ormai quasi un mese e non so spiegarmi perché mi è così difficile elaborare questo lutto.

Avevo pubblicato di Peter, nel 1994, Il Cinema di Federico Fellini, qualcosa di più di una semplice biografia artistica. Per quel libro, con prefazione dello stesso Fellini del 1990,  Bondanella aveva utilizzato un archivio di varie dozzine di manoscritti ottenuti direttamente da Fellini e dai suoi sceneggiatori. Questo materiale, mai esaminato in precedenza, gli aveva come “acceso una lampadina” sulla comprensione dell’importanza di Fellini per il Neorealismo italiano e sul ruolo ancora più decisivo che aveva  giocato nell’evoluzione del cinema non solo italiano, ben oltre. Da quel primo fondamentale saggio, la carriera accademica di Bondanella ha indagato praticamente tutto il cinema italiano del dopoguerra con non pochi sconfinamenti soprattutto in ambito semiologico,  fino scorticare il pensiero di Umberto Eco, secondo alter ego di Peter, che non a caso aveva scritto uno straordinario omaggio al “trismegisto” Fellini per la serata del lancio, a Rimini, di E la nave va.

Il rapporto “professionale” con Bondanella era nato da una delle tante telefonate di Federico, con quella sua irritante vocina in falsetto, che mi preannunciava la venuta a Rimini di Bondanella, certamente per toglierselo di torno dopo che gli aveva svuotato i cestini e frugato nei cassetti, come faceva appunto con quel suo metodo di raccolta delle fonti a dir poco inusitato per noi europei… “Veditela te, è un rompic…ni!” aveva concluso, sapendo di farmi un regalo. Poi era nata l’amicizia.

Ma come sempre, Fellini unisce e divide.

Questa morte mi fa affluire ricordi in testa con lo stridore dei vecchi nastri magnetici che si riavvolgono… Rivivo la serata al Grand Hotel, nel settembre 1983, quando seduto al tavolo assieme a Umberto Eco, dopo qualche secondo di finto black-out, apparve il Rex in tutta la sua gigantesca magnificenza, sulle note di Nino Rota. Avevamo lavorato ininterrottamente tre giorni per l’ “effetto speciale” REX , oscurando le finestre del Grand Hotel e montando il gran pavese fra due pennoni, sulla terrazza dell’albergo, dove avevamo posizionato  anche un “cannone Laser” puntato sulla fiancata del Grattacielo di Rimini con la scritta “GRAZIE FEDERICO”.

Federico, abituato ad ogni tipo di blandizie e di omaggi, mi parve per una volta spiazzato e sinceramente commosso . E grato. Un paio d’anni più tardi si sarebbe rammaricato della pelosa gratitudine che Rimini gli aveva regalato, invece della sognata “casina sul porto”, un bidone.

Ma sulle date di tutta questa vicenda faccio confusione e davvero non saprei dire come si intreccia Peter Bondanella con il Fellini’s Day riminese, mai saprei rimettere a posto le tessere del mosaico Fellini. Rivedo invece con nitidezza i luoghi dove tutto questo è avvenuto e risento la inequivocabile vocina ammaliatrice che si spacciava per la domestica Maria, la cadenza italo-americana di Peter, la faccia da schiaffi di entrambi, Federico e Peter, le loro bugie. 

Che orrore gli aneddoti!

Fellini unisce e divide. 

Ci aveva diviso per esempio l’amicizia di Bondanella con Angelucci, personaggio e scrittore ambiguo, sul cui ruolo a mio parere nefasto nella vicenda Fellini (fino alle estreme propaggini della sciagurata “Fondazione” che portava il suo nome), ci sarà molto da scrivere e da indagare in futuro. Non riesco a estrapolare Peter da tutta questa ragnatela di relazioni tutte all’insegna di Fellini. 

Ho incontrato Bondanella l’ultima volta all’Hotel Napoleon di Rimini il 17 ottobre 2015. Vi veniva per una conferenza davvero molto “accademica” e ben fatta.  Mi aveva chiesto un po’ di copie del suo libro e mi aveva ripagato il favore regalandomi la riproduzione di una sua tela ad olio che raffigurava, inutile dirlo, Federico con la solita sciarpa rossa al collo, ma forse è un golfino sulle spalle, difficile dirlo.  Federico si passa una mano fra i capelli ancora folti; ai pantaloni , leggermente pingue, porta una cintura di dubbio gusto, con la fibbia da cow-boy. Ignoravo che Peter dipingesse e non ho osato dirgli che quel quadro mi sembrava francamente orrendo. Ormai mi tocca conservarlo come una reliquia.

In precedenza c’erano state fra di noi una serie di telefonate agitate su una delle tante sanguisughe felliniane che rivendicava scatti fotografici per tirar su un po’ di soldi dagli editori americani. Che, buccaloni, abboccavano…

Ma non voglio dare ulteriore spazio a questo rigurgito di ricordi che la morte di Peter mi procura. 

Ho la sensazione che ci sia nell’aria una sorta di “Maledizione di Fellini”, come quella di Tutankamen (vedi Theut, Fellini e il Faraone di U. Eco, novello Gemisto Pletone, à son tour) che in veste di Mago Merlino (povero Federico F. !) deborda dalle pagine di alcuni libri davvero diabolici  per compiere nefandezze erotiche e riti satanici fin sotto la sua bara, a Cinecittà; e giunge fino a impossessarsi di antichi amici ed eminenti studiosi per far circolare a suo nome mitologiche immondizie. 

Caro Peter, ti dissi quella sera, dopo la tua conferenza riminese, che personalmente ero convinto che Fellini stesse scontando sulla terra il suo vero purgatorio, come nel finale del Mastorna (Ma si ritorna?);  quando il Protagonista (ciascuno di noi, è ovvio) dopo la inevitabile condanna, si ritrova proprio la dove avrebbe dovuto o voluto essere. Ciascuno sceglie il proprio destino. Vuoi il Nulla? Eccoti il Nulla, povero coglione. Spero solo  che non sia il suo Inferno reale, oltre quello  immaginario descritto da Dario Zanelli. 

Federico, Dario, Peter, fra un po’ anche tutti noi sapremo la Verità. Di sicuro, tu, Peter non volevi il Nulla, eri un leone in gabbia, la tua gabbia era Fellini…

Mario Guaraldi

 

P.S. Oltre a tutta la sua corrispondenza, trovo ancora una sua pagina FB che mi pare esemplare, ve la ripropongo

Peter Bondanella

5 gennaio 2013 · 

am going to deactivate my facebook account in 2 weeks. if you want to get in touch just write me by email at:  bondanella@me. com ;  i just cannot deal with facebook. call me old fashioned but it is a grandissima cazzata! old fashioned emails and actual telephone calls and real mail are always welcome.

all the best. peter

 

 

Ciao Umberto!

Ti vogliamo ricordare con il lavoro che abbiamo fatto insieme

Introduzione a I pampini bugiardi (1972)

I pampini bugiardi - Umberto Eco, Marisa BonazziAlle soglie della loro vita culturale, iniziando l’esperienza difficile ed esaltante della lettura, i nostri figli si trovano a dover affrontare i libri di testo delle scuole elementari. Educati noi stessi su libri pressoché analoghi, con la memoria ancora affollata di ricordi necessariamente cari e tenerissimi, legati alle illustrazioni e alle frasi di quelle pagine, ci è difficile fare un processo al libro di lettura. E ci è difficile farlo perché probabilmente molti dei nostri crampi morali e intellettuali, delle nostre idee correnti più contorte e banali (e difficili a morire) nascono proprio da quella fonte. Allora la fiducia che proviamo, di istinto, per il libro di lettura, non è dovuta ai meriti di quest’ultimo, ma alle nostre debolezze, che i libri di lettura hanno creato e alimentato.
Fare un processo al libro di lettura implica uno sforzo di straniamento: richiede che si legga e rilegga una pagina in cui si diffondono idee che siamo abituati a considerare «normali» e «buone» e che ci chiediamo: ma è proprio così? condizionati come siamo dai nostri antichi libri di lettura, leggere i nuovi significa aver la capacità e il coraggio di dire: «il re è nudo». Un atto di chiarezza che, diversamente che nella fiaba di Andersen, il bambino non può fare. Dobbiamo dunque farlo noi.
L’antologia che proponiamo pare fatta apposta per mettere il lettore in difficoltà. Presi uno per uno i capitoli, che cercano di condensare la quintessenza dell’insegnamento propagato dai libri di lettura, sembrano rappresentare altrettanti indiscutibili items di una educazione ispirata ai Principi Fondamentali più Rispettabili.
I libri di lettura parlano dei poveri, del lavoro, degli eroi e della Patria, della importanza e serietà della scuola, della varietà di razze e popoli che abitano la terra, della famiglia, della religione, della vita civica, della storia umana, della lingua italiana, della scienza, della tecnica, del danaro e della carità. Non si riferiscono dunque ai problemi reali ai quali il ragazzo, una volta uomo, si troverà confrontato e sui quali dovrà prendere posizione?
Questa antologia tende invece a mostrare, con la pura evidenza della citazione commentata al minimo (e al massino introdotta da un titolo malizioso ed, appunto, «estraniante») che questi problemi sono presentati in modo falso, risibile, grottesco… Che attraverso di essi il ragazzo viene educato a una realtà inesistente… Che quando i problemi, e la risposta che ne viene fornita, concernono la vita reale, essi sono posti e risolti in modo da educare un piccolo schiavo, preparato ad accettare il sopruso, la sofferenza, l’ingiustizia, e a dichiararsene soddisfatto. I libri di testo dicono insomma delle bugie, educano il ragazzo a una falsa realtà, gli riempiono la testa di luoghi comuni, di platitudes, di atteggiamenti codini e acritici. Quel che è peggio, compiono quest’opera di mistificazione attenendosi ai più vieti cliché della pedagogia repressiva ottocentesca, per pigrizia o incapacità dei compilatori. Vorrei dire che la lotta contro i libri di testo delle elementari si pone ancora al di qua di ogni scelta ideologica che abbia un senso nel mondo in cui viviamo: può essere sostenuta dal liberale e dal democristiano, dal comunista e dal socialdemocratico, dal credente e dall’agnostico, perché la realtà educativa che questi libri propongono sta ancora prima della nascita di queste ideologie e di queste correnti politiche, prima della rivoluzione francese, prima della rivoluzione industriale, prima della rivoluzione inglese, prima della scoperta dell’America, prima – in una parola – della nascita del mondo moderno.
Certo che, una volta detto questo, si può riconoscere in tali testi lo strumento più adeguato di una società autoritaria e repressiva, tesa a formare sudditi, uomini dal colletto bianco, folla solitaria, integrati di ogni categoria, esseri a una dimensione, mutanti regressivi pre-gutenberghiani… Questi libri sono manuali per piccoli consumatori acritici, per membri della maggioranza silenziosa, per qualunquisti in miniatura, deamicisiani in ritardo che fanno elemosina a un povero singolo e affamano masse di lavoratori col sorriso sulle labbra e l’obolo alla mano. Ma il modo in cui, attraverso queste pagine, i piccoli sciagurati sudditi di una spietata società dello sfruttamento e del profitto vengono formati, non corrisponde a quello più lungimirante e tecnologico con cui tenterebbe di formarli la più agguerrita società neocapitalistica: il modello proposto è ancora un universo paleocapitalistico, in cui il ricco è il padrone cattivo del «Racconto di una notte di Natale» e il povero è Oliver Twist.

Per questo l’antologia non e stata intitolata I jets bugiardi ma I pampini bugiardi. La mistificazione della realtà non è condotta attraverso una lettura, sia pure ideologica e falsamente ottimistica, della società industriale avanzata, ma passando attraverso i rimasugli di un dannunzianesimo pre-industriale e agreste che, con la vita di oggi, non ha più nessuna connessione. Pampini, convolvoli, ranuncoli, refoli di vento, casette piccine piccine picciò, anemoni, pimpinelle, colibrì, vomeri, miglio, madie, princisbecchi e cuccume — ecco l’universo linguistico e immaginativo che viene presentato ai ragazzi come «la Realtà contemporanea».
Se si prende in mano un libro a caso, può succedere che la constatazione non sia immediata. Non tutti i brani sono egualmente risibili, a una lettura rapida certe pagine sembrano accettabili… È solo leggendo con attenzione, rileggendo e ponendo in correlazione le varie pagine che il disegno pedagogico arcaico e regressivo si fa luce: ed è per questo
che, con la presente antologia, si è voluto accelerare il processo di consapevolezza nel lettore pensoso, responsabile e (speriamo) genitore di piccolo scolaro. Come tutte le antologie polemiche anche questa è ovviamente maligna, pedante, evidenzia la frase incriminata tra altre dieci… Qualcuno potrebbe obbiettare che il procedimento non rende giustizia a molti di questi testi, i cui autori si sono magari sforzati di inserire brani che essi giudicavano «rivoluzionari», magari rischiando il rifiuto dell’adozione da parte di tanti maestri timorosi e timorati. Se anche fosse vero occorrerebbe dire che il ragazzo non legge solo quei brani, legge il libro nel suo complesso, e lo legge frase per frase, e certe frasi gli si imprimono nella mente con la nitidezza dei ricordi inestinguibili – e ben lo sappiamo noi stessi se rievochiamo i ricordi più marcati dei nostri giorni scolastici. Pensiamo allora, per un momento, ad un essere umano i cui ricordi fondamentali siano costituiti dagli insegnamenti raccolti in questa antologia. La quale – e lo spoglio di ben 82 testi ne fa fede – riflette in modo assolutamente esatto il tono medio dei libri di testo citati e della maggioranza di quelli non citati.
Ci sia permesso comunque, e anzitutto, di pensare che nessuno di questi autori abbia tentato di rinnovare una pratica educativa. Militano in favore di questa tesi due fatti: anzitutto, e come si vedrà, ogni testo si rifa pedissequamente agli altri e riporta dagli altri brani e frasi che paiono diventate canoniche, passaggi obbligati, intesi evidentemente come il non plus ultra della produzione pedagogica disponibile; in secondo luogo si noterà, compulsando l’indice finale dei libri citati, che ogni editore di solito pubblica più di un testo e gli stessi autori entrano a far parte di cocktails collaborativi diversi, oppure firmano da soli uno, due, tre libri. Nessuno di essi ci pare quindi aver dedicato una vita a inventare il libro di testo esemplare. Essi hanno compilato, semplicemente, per venire incontro alla richiesta di un mercato floridissimo, e hanno prodotto due o tre testi variando l’offerta a seconda della variazione della domanda. La base commerciale di queste compilazioni ci sembra anche spiegare il forsennato conservatorismo, il delirante arcaico reazionarismo, non di rado l’esplicito fascismo di queste opere. Ci ripugna credere che da parte di tutti questi autori, tra i quali abbiamo individuato anche nomi non ignoti e non ignobili, ci sia il progetto esplicito di fare della pedagogia «ultra» e di creare manuali, come di fatto avviene, per giovani sanfedisti, e sciocchi per giunta. È che probabilmente il compilatore tiene d’occhio, più che il mercato degli acquisti, che non è libero, il mercato delle adozioni e cerca di venire incontro ai desideri della media degli insegnanti e dei direttori didattici. Constatazione non allegra perché, se assolve (sul piano intellettuale se non su quello etico) i compilatori, condanna la maggioranza dei nostri educatori.
Si deve quindi ritenere che, per accontentare la maggioranza media, per non suscitare dissensi, per non urtare suscettibilità, per piacere a tutti, si cerchi di mantenere il testo al livello dell’ovvietà, del qualunquismo, della acriticità, della idiozia rispettabile. Il risultato, indipendentemente dalle intenzioni dei compilatori (sulle quali non vogliamo pronunziare altri giudizi), il risultato oggettivo, visibile, è quello presentato da questa antologia. Che ha così un solo fine e una sola aspirazione: che molti la leggano ne ridano, come se si trattasse di un libro di lepidezze inoffensive e che la mostrino agli amici e ne recitino le pagine ad alta voce la sera, invece di guardare la televisione. Ma se per caso costoro sono genitori e hanno figli che vanno a scuola, che da questo momento entrino in crisi, siano sopraffatti dall’indignazione, e comincino a controllare i testi scolastici dei loro figli, e li rileggano con loro, spingendoli a criticarli e discuterli coi compagni e con la maestra. In modo che la squallida, nequizia giorno per giorno perpetrata alle spalle dei nostri bambini, venga messa sotto processo. E forse qualcuno tra gli autori cominci a sentire vergogna, se il raggio dei suoi interessi culturali gli permetterà di arrivare sino a questo libro, o a coloro che lo avranno letto.

L’aspirazione massima sarebbe che I pampini bugiardi diventasse l’unico libro di testo adottato nelle scuole: sul quale almeno i bambini si educherebbero a riconoscere e giudicare le menzogne che si tenta di propinare loro. Ma si tratta di un voto paradossale, perché la linea pedagogica più sensata che pare oggi prevalere presso gli insegnanti responsabili (e ne fa fede anche una polemica, costituita da una nutrita serie di lettere apparsa negli ultimi mesi su «Il Giorno») è che non ci siano più libri di testo. Il problema non è di fare dei libri di testo «migliori»: il problema è di fornire a bambini e insegnanti biblioteche scolastiche talmente ricche e una tale disponibilità alla realtà (quella dei giornali, della vita di tutti i giorni) che l’acquisizione di nozioni veramente utili avvenga attraverso una libera esplorazione del mondo, la lettura dei giornali, dei libri di avventure, degli stessi fumetti (e perché no, letti, criticati insieme, e non letti di nascosto e per disperazione, visto che i libri ufficiali di lettura sono quello che sono), dei manifesti pubblicitari, dei rendiconti di vita quotidiana forniti dagli stessi allievi… Stanno già apparendo splendidi esempi di libri di testo fatti dai ragazzi stessi, che intervistano le persone, cercano di interpretare gli avvenimenti più importanti del giorno, vanno alla scoperta del mondo che li circonda, con carta, matita, macchina fotografica, registratore… Questa è la linea che è stata anche sostenuta dalla Mostra di Reggio Emilia che ha dato l’idea per questa antologia. Marisa Bonazzi, una delle curatrici della esposizione emiliana, ha allargato la propria ricerca per fornire un materiale più ampio adatto a formare la presente antologia. La mostra di Reggio Emilia opponeva ad ogni stralcio di testo incriminato, una sorta di contro-informazione tesa a ristabilire la realtà dei fatti e a evidenziare la menzogna che, mascherata da pampini, corimbi e vecchiette canute, veniva propinata al ragazzo. In questo libro si è invece ridotta al minimo la parte di contestazione del testo. Tranne qualche annotazione, qualche riassunto interpretativo quando il brano era troppo lungo, e tranne i titoli polemici, si è preferito lasciare al lettore la libertà e la responsabilità di individuare la mistificazione (peraltro così evidente) e di trarre le sue conclusioni.

Abbiamo esitato prima di incorporare all’antologia delle citazioni anche brani scritti da autori insospettabili (in questi testi ci sono anche passi da Ungaretti e Zola, come si vedrà): era chiaro che, nel contesto originale questi brani acquistavano un senso diverso e non erano certo degni né di indignazione né di ironia. Ma accade del libro scolastico quello che accadeva a Mida, che trasformava in oro tutto quel che toccava tranne che, in questo caso, il materiale a cui si allude è meno nobile. Astratti dal loro contesto originario, messi in contatto con altre pagine di ben minore dignità e di più esplicita stoltezza, anche i brani dei grandi autori appaiono qui falsificati e caricati di connotazioni deplorevoli. Per cui, citandoli, si è inteso stigmatizzare chi li ha raccolti nel suo discutibile collage, e non l’autore originario. In altri casi invece l’insistenza con cui i compilatori di tali testi ricorrono a un dato autore (è il caso tipico di Renzo Pezzani, un crepuscolare edificante di seconda mano che andava per la maggiore nelle parrocchie più sottosviluppate dell’anteguerra) servono a mettere in luce il pervicace e costante impegno reazionario che certi intellettuali hanno perseguito per anni e anni avvelenando la sensibilità estetica e le strutture etiche dell’uomo medio italiano.
In questo senso un discorso sull’ideologia dei libri di testo si dovrebbe trasformare nel processo a una porzione più ampia della cultura nazionale. Ma la nostra antologia non ha pretese così vaste. Sono usciti in questi ultimi tempi vari studi sull’ideologia dei libri di testo, delle elementari come delle medie, e molti studi in proposito sono in via di svolgimento in varie università. Tra i vari contributi citeremo il numero 22-23 di «Rendiconti», che avrebbe potuto essere completamente integrato come prefazione alla presente raccolta.

Umberto Eco

 

Mnemotecniche e rebus (2013)

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