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I libri dietro le spalle

A prima vista non ci si fa caso, poi diventa eclatante: ormai quasi tutte le interviste avvengono davanti alla  libreria di casa! Non solo gli intervistati – uomini politici, intellettuali, esperti, gente di spettacolo – ma anche gli intervistatori, sempre più in smart-working, cioè da casa, si fanno riprendere davanti agli scaffali dei propri libri. Penso a “Sky a casa”, bel modo di fare informazione innovativa in TV, con la conduttrice in camicetta, trucco leggero, la sensazione che un bambino o un gatto possano  apparire da un momento all’altro e immancabile libreria sullo sfondo! Librerie tutte da decodificare e interpretare, di provenienza Ikea o fatte su misura, bianche o in frassino, rustiche o di design, con i libri di costola e alcuni di piatto, inframmezzati da foto e oggetti, un libraio esperto potrebbe certamente riconoscere gli editori e le collane – concetto di organizzazione dei contenuti che sembrava obsoleto se non defunto – se non addirittura i singoli titoli, che a volte si riescono a leggere. Non vi sembra strano questo massiccio ritorno dei libri, quelli veri, di carta, di una gamma infinita di altezze e dimensioni, scaffali lunghissimi, Cacciari, quanti libri avrà mai letto? in altri casi i libri  sembrano buttati lì più per decoro che per altro… ma libri sono e restano, anche quando sembrano una sorta di fotomontaggio (come a casa Veltroni). Sfondi francamente inaspettati dei nostri teleschermi.  Cosa significano? Danno credibilità? Autorevolezza? O “excusatio non petita accusatio manifesta“?

Sky pure tranquillamente a casa! Il poetico errore di stumpa rimanda al cielo, stay home!, la tua casa è un paradiso, non molto dissimile dalla mia; e quel quadro che roba è, non può essere lì per caso, cosa vorrà significare? E i tuoi famigliari, che hai appena scoperto nel rallentì della reclusione, forse sono “brave persone” – come notava in una gag esilarante un anonimo comico pugliese – ma potrebbero anche essere degli orchi violentatori protetti da un antico ma criminale concetto della privacy! Case aperte, quelle che la nouvelle vague televisiva ci fa vedere, esatto opposto delle “case chiuse” ante Merlin.

E gli orrori più o meno triviali circolanti nel web in questi tempi di ripresa virale della vecchia cara satira, sono bilanciati dal sapore inedito di forme di creatività (e di lavoro) ritenute scomparse: i cori remoti  (dozzine di persone, ciascuna a casa propria in un quadratino di schermo), un mosaico di inaspettate privacy, che meraviglia! Via i finti pudori da difendere, l’App Immuni tutelerà la mia salute psichica prima ancora che quella fisica! Persino Marco Travaglio la benedice, chi non ha nulla da nascondere non tema  di uscire dalle tenebre e venire alla luce, per essere controllato!

Fino a ieri ci sembrava stravagante – e diciamolo pure, complicato – collegarci in skype. Oggi, se non stiamo attenti, diamo accesso ad una video-chiamata  della parente di  San Diego mentre siamo al cesso. Il mondo non è mai stato così piccolo, mai il senso di libertà è stato così elettrizzante come in questo periodo di restrizione massima della libertà.

Mi domando se anche le migliaia di profughi che premono in condizioni di vita disumane alle frontiere turche, ma quasi tutti paradossalmente dotati di smartphone, assistono con lo stesso stupore alle modifiche in atto nel “modo” di comunicare persino la loro tragedia, ai tempi del Coronavirus… Il mio nipotino Guido mi informa di aver appena finito una call con interrogazione in inglese mentre il suo papà,  in videoconference con i vertici aziendali, sperimenta con stupore che l’efficienza remota della sua segretaria è raddoppiata rispetto a quella antica, in presenza. Gente che a stento andava a Messa la Domenica ora assiste quotidianamente alla Messa del Papa da Santa Marta e fa la “comunione spirituale” (speriamo che il Papa riscriva presto i testi  a dir poco obsoleti che la accompagnano!).

I ridicoli  robot col tocco che riceveranno virtualmente i diplomi delle laurea discusse a distanza canteranno anche loro “Dottore, dottore  del buco del c….”! E il mio amico Claudio che insegna alla Sapienza  ormai solo su piattaforma si domanderà quante ore di treno da Torino si sarebbe risparmiate se si fosse realizzata prima l’attuale esperienza didattica? O rimpiangerà quelle trasferte? Mentre scrivo queste banali considerazioni non posso fare a meno di ricordarmi, con un brivido, di essere stato il primo docente italiano  a fare video-lezioni  da Urbino e dalla Tuscia con green alle spalle,  passeggiando virtualmente fra le righe di un libro. Dunque, la metamorfosi nasce da lontano. E su questa scia seguiranno i Convegni scientifici, i Congressi, i Concorsi.

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“Si raccolgono forse Libri dalle spine, o lettori dai rovi?”

“Flop” è la brutta  “sintesi” onomatopeica  (ricorda il rumore del bastone fecale che cade nella tazza del bagno) che ricorre ben 141.000  volte  nelle occorrenze di Internet dedicate a Tempo di Libri, il doppio esatto dei visitatori che si sono recati a Rho, pagando il biglietto d’ingresso, per vedere e comprare a prezzo pieno gli stessi libri che avrebbe trovato dal libraio sotto casa con lo sconto del 20%…  Una brutta storia questa del salone voluto dall’AIE a Milano e per il quale si era combattuta una battaglia senza esclusione di colpi contro Il Salone del Libro di Torino. Una storia di incapacità e di arroganza, di miopia e di arretratezza intellettuale che sembra aver colpito gli editori – la categoria imprenditoriale più prossima alla cultura,  e che invece, con questo clamoroso fallimento, dimostra  tutta la propria insipienza.

Un flop ahimé facile da prevedere:

“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere”.

E falsi profeti si sono dimostrati appunto  i vertici dell’Associazione Italiana Editori, che invece di cercare soluzioni vere a una crisi del libro che attraversa il mondo intero, hanno pensato solo di mostrare i denti , l’un contro l’altro armati,  per rincorrere un mercato ormai – lo si è visto bene dalle affluenze – quasi inesistente.

Avrebbero dovuto piuttosto convocare una Costituente del Libro destinata a ripensare e a ridisegnare le nuove “regole” di nuove modalità produttive e distributive adeguate ai nuovi scenari non solo tecnologici ma soprattutto culturali e politici; per tentare di re-inventare  il modo di far circolare i “contenuti immateriali” di quell’oggetto chiamato Libro che per 500 anni si è imposto come strumento principe della trasmissione dei saperi ma che è ormai entrato in una crisi irreversibile  delle logiche corporative della distribuzione tradizionale.

Invece di affrontare il problema alla radice, ripensando le regole organizzative di un mercato ormai definitivamente asfittico, gli editori italiani si sono accapigliati per un osso ormai spolpato e marcito . Perché se l’Atene milanese piange la Sparta torinese non ha niente da ridere:  anche il loro Salone è ormai condannato ad essere un residuato bellico come scrivevo nel vicinissmo e lontanissimo 2013 (https://www.guaraldilab.com/tag/editori-italiani/).

Si raccolgono forse Libri dalle spine di un litigio fra corporazioni o Lettori dai rovi di una pratica produttiva e distributiva totalmente obsoleta? Peccato che il Ministro Franceschini non abbia saputo inserirsi in questa lotta medioevale con l’intelligenza che sarebbe stata necessaria, convocando la Costituente che da anni invoco (vedi lettera al Presidente Napolitano).

Mario Guaraldi

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