Colpisce nel dibattito politico, culturale e religioso, di oggi e di sempre, la costante contrapposizione fra vecchio e nuovo. Ce lo fa notare anche il  Vangelo di Luca: “Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo fa scoppiare gli otri, il vino si spande, e gli otri vanno perduti. … E nessuno, che abbia bevuto vino vecchio, ne desidera del nuovo, perché dice: ‘Il vecchio è buono’ “.

Avrebbero dovuto considerarlo Beppe Grillo e il “rottamatore” di un tempo non lontano, che i loro rispettivi vini nuovi sarebbero finiti miseramente sparsi a terra dopo aver rotto le vecchie botti istituzionali. Un disastro: botti sfasciate e vino ‘nuovo’ (buono o cattivo che fosse) per i topi e le blatte, questo il quadro desolante  che abbiamo sotto gli occhi.

Stiamo parlando, lo capite bene, del vino del buon governo, da bere con moderazione, senza giungere all’ubriachezza che produce violenza sulla società civile e molestia alla intraprendenza privata; e allieta il cuore dell’uomo. Pare tuttavia una mission impossible se si considera che nell’ultima cena, Gesù lo assume a segno del suo sangue versato per la salvezza del mondo. Si capisce bene che questo inaugura bensì la via della Chiesa ( lunga e piena di errori, ma su cui Satana non potrà prevalere), ma a ben guardare  non v’è dubbio  anche quella dello Stato: per ben governare laicamente occorre dare il sangue, non succhiarlo al Paese!
E’ evidente che occorre domandarsi chi sono le botti (oggi refrigerate e in acciaio inox) e cos’è il vino.  Degli Apostoli che nel recente giorno di Pentecoste iniziano a parlare altre lingue, Agostino d’Ippona, li definisce “otri nuovi”. E dei Giudei che li sfottevano dicendo “sono ubriachi di mosto” dice che non avevano del tutto torto, perché erano “otri riempiti di vino nuovo”; e “dal vino in ebollizione sgorgavano le diverse lingue dei popoli”! Interessante, non trovate?

Che dire dunque? Bisogna prima costruire botti nuove per potervi immettere – se la vendemmia è  stata prodiga in qualità e quantità   – del buon vino “giovane” sapientemente trattato da enologi competenti (come il  Giacomo Tachis del Sassicaia,  se non si vuole strizzare l’occhio al protagonista delle Nozze di Cana…)? Ci sono stati in realtà, nella nostra storia recente, almeno due tentativi di assalto programmato alle Istituzioni da parte di “portatori di novità” che prevedevano la preliminare costruzione di botti nuove: anch’essi falliti clamorosamente. Quello del vecchio PCI di Napolitano e quello di Mani Pulite col picconatore Cossiga finto pazzo. Napolitano morirà affogato nei suoi troppi benefit  da ex-Regnante; mentre dallo scomparso Di Pietro discendono ahimè,  nelle paludi della Giustizia, Davigo e Palamara oltre a un Ministro  che non ha precisamente le physique du rôle.

Come si possano dunque fare le due cose contemporaneamente (costruire solide botti  nuove – il famigerato “uomo nuovo” – e piantare una vigna, anzi molte vigne culturali – di Sangiovese, Verdicchio, Primitivo, Passerina, e chi più ne ha più ne metta, quante sono le culture politico-enologiche italiane –  per ricavarne ovunque buon vino nuovo, ecco il dilemma da affrontare!

La risposta pare a me tanto semplice quanto  difficile da realizzare: occorre partire dalla Scuola. In pochi anni si formerebbe una nuova “cantina” istituzionale riempita di vini eccellenti, non solo destinati all’esportazione, come accade oggi: il direttore finanziario  della mitica Apple del vostro i-phone si chiama, guarda caso, Luca  Maestri, romano! Intervistato dal Corriere dice: “L’università italiana mi ha preparato bene, in Italia c’è talento, manca solo la capacità di fare sistema”. In questo stesso momento in cui voi leggete sta nascendo da qualche parte il futuro Presidente della Repubblica, il futuro Rudolf Nureyev, il futuro Steve Jobs (che in realtà era figlio di un immigrato siriano dato in adozione ai coniugi Paul e Clara Jobs, nome originario Abdul Latif Jandali, ricordatelo a Salvini…).

Ma la giovane e intelligente Nera d’Avola, la Ministra Lucia Azzolina, ha  dovuto toccare con mano quanto sia difficile “mettere in moto” la macchina scolastica che dovrebbe traghettare nel futuro ogni possibile riforma! Ci ha guadagnato solo insulti e scorta.

Ci aveva provato non molti anni prima un’altra Ministra , Maristella Gelmini, una Franciacorta bresciana, diciamo, con alle spalle la corazzata Berlusca: ma anche lei non è  andata lontano. Che fine hanno fatto i suoi “Learning Object” che tanto ci avevano entusiasmato?
Eppure non bisogna scoraggiarsi: gli insegnanti saranno gli “eroi” del futuro” come gli infermieri sono stati quelli della Pandemia.

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