Venerdì 12 luglio a Roma, presso la Camera dei Deputati (Sala de Mappamondo), durante il Convegno Tecnologia Solidale 2013, saremo chiamati a parlare e discutere di un argomento più che mai attuale: l’accessibilità del mondo digitale indiscriminatamente a tutti, disabili in particolar modo, come una delle tante applicazioni della tecnologia in grado di semplificare e migliorare la vita.
L’accessibilità spesso viene confusa con un generico diritto all’accesso alle informazioni, o con la disponibilità di una connessione a Internet. Ma la parola accessibilità sul Web ha un altro significato: tanto tempo fa Tim Berners Lee, l’nventore del Web come lo conosciamo e direttore del W3C (www.w3.org), incise nel marmo le seguenti parole:
“The power of the Web is in its universality. Access by everyone regardless of disability is an essential aspect”.
L’accessibilità è una qualità delle pagine che compongono i siti Web e dei documenti elettronici. Essa chiede che tutto quello che viene distribuito sul Web possa essere fruito da chiunque, indipendentemente dallo stato fisico personale e dagli strumenti utilizzati.
La frase pone un accento particolare, un occhio di riguardo per le persone con disabilità.
Ma a livello tecnico come avviene tutto questo? Com’è possibile, per esempio, che un cieco possa leggere un libro o un ipovedente ingrandire o ridurre il carattere e adattare la dimensione della pagina alle proprie necessità, o un daltonico cambiare colore del testo e di sfondo della pagina e tutto questo senza perdere il portentoso design grafico?
L’iniziativa del W3C chiamata WAI (Web Accessibility Initiative)(www.w3.org/WAI) si occupa proprio di determinare regole e metodi che permettano questa inclusività: nel gruppo di lavoro WAI sono presenti rappresentanti delle maggiori software house, produttori di hardware, associazioni di disabili, governi, esperti programmatori, e tutti contribuiscono nel definire strategie e realizzare strumenti che permettano di rendere davvero di uso universale i nostri documenti in modo che, almeno sul Web, si possa realizzare quella uguaglianza di diritti che potremmo chiamare umanità.
E funziona: quando le regole stabilite dalle WCAG 2 (www.w3.org/WAI/intro/wcag.php) (il corposo documento che stabilisce le regole da seguire per realizzare pagine accessibili) vengono applicate, si realizza questa magica sinergia fra tecnologia e vitalità, proprio in quegli ambiti che potrebbero essere difficili o impossibili da raggiungere in condizioni di disabilità.
Così, a seguito di questa spinta, disponiamo di sistemi operativi che includono nativamente il supporto all’accessibilità e di programmi in grado di gestire le interazioni fra documenti elettronici e tecnologie assistive. Per far funzionare la magia, occorre però che i documenti vengano preparati nel rispetto delle regole.
Non basta che sul monitor si veda del testo: la scansione di un qualsiasi testo non è testo, è soltanto un insieme di pixel che rappresentano graficamente delle forme. È facile da capire: provate a selezionare il testo rappresentato in un’immagine, è impossibile. Oppure provate a immaginare il vostro libro impaginato tutto con la stessa font e alla stessa dimensione: diventa difficile capire dove sono i titoli, quale sia il loro rapporto gerarchico, dove siano strilli e didascalie, tutte quelle informazioni visuali che codificate in centinaia di anni di tipografia ci permettono di riconoscere al volo il significato semantico di ciascun blocco informativo.
L’accessibilità fa proprio questo: ricostruisce in forme diverse quelle informazioni semantiche, permettendo a chiunque di fruire dei contenuti utilizzando sensi diversi: così, se non vedo il corpo del carattere, la tecnologia assistita potrà comunicarmi “questo blocco che stai leggendo è un titolo di livello 1”, oppure “questa è una tabella composta da tre righe e tre colonne, stai leggendo la cella uno della colonna due”…
Universalità e inclusione. Qualche volta richieste per legge, altre volte scelta di vita.
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