Rimini era, circa duemila anni fa, un piccolo borgo fra la via Emilia e il west dell’Impero romano, che iniziava appena ad assumere una certa rilevanza strategica. Alessandria d’Egitto , dall’altra parte del Mediterraneo, era invece la seconda città più grande dell’impero, una gigantesca metropoli in cui prosperavano la filosofia, le scienze, la letteratura.
Mentre a Rimini si iniziava a costruire , sotto Tiberio, il ponte che ben conosciamo, bello e robusto, su cui continuano a transitare da due millenni i convulsi traffici da nord a sud , ad Alessandria esisteva da tre secoli la più grande Biblioteca del mondo che custodiva migliaia di rotoli e di libri e in cui si parlavano dozzine di lingue: latino e greco, ovviamente, ma anche le miriadi di “dialetti” mediorientali ricordati nel celebre brano degli Atti degli apostoli. C’erano anche – perdonerete il narcisismo! – moltissimi editori! Insomma, mentre nella provincia riminese si reclutavano soldati e coloni da spedire in Palestina, Alessandria era una raffinatissima Bengodi sociale, economica e intellettuale dove le culture si confrontavano, si mescolavano e soprattutto dialogavano.
Ed è qui, in questo contesto cosmopolita che nasce e opera , fra il 20 a.C e il 45 d.C., un certo Filone, la cui fama è dovuta all’allegoria , canone esegetico fondamentale del suo pensiero, vero e proprio criterio di ricerca del senso spirituale di ogni cosa. Ebbene, proprio a questo strano personaggio, quasi sconosciuto fino agli anni settanta, sono stati dedicati qui a Rimini ben due Convegni , incentrati rispettivamente sulle figure di Mosè e di Abramo; e addirittura un terzo si sarebbe dovuto tenere a breve (per l’esattezza 19-21 maggio) se l’emergenza Coronavirus non avesse imposto di rinviarlo sine die. Questo terzo Convegno avrebbe dovuto scavare attorno al Giuseppe biblico (venduto per invidia dai suoi fratelli) , con l’ obiettivo di scoprire qualcosa sulla figura dell’uomo politico! Per Filone infatti, il politico è allegoricamente parlando, come uno schiavo messo in vendita che dipende da padroni innumerevoli; sempre a rischio della propria vanità e vanagloria, un grande interprete di sogni !
Va bene, direte voi, ma a cosa mirano queste contorsioni intellettuali? Abbiamo ben altro cui pensare con la pandemia ancora in corso e la catastrofe annunciata della prossima stagione turistica!
Ebbene, non sembra anche a voi stupefacente che Tullio Pinelli, che conosceva molto bene Federico Fellini, gli suggerisse nel giugno 1986 la figura del “sognatore di sogni”, quello della tetralogia di Thomas Mann, Giuseppe e i suoi fratelli , come possibile soggetto per un film. La proposta non ebbe purtroppo seguito, ma in uno degli ultimi fogli di quello straordinario documento psicoanalitico che è il Libro dei Sogni , Fellini rappresenta un uomo e una donna sdraiati sotto un albero mentre contemplano un meraviglioso cielo stellato. E’ il sogno del 1984 di cui non finirei mai di parlare ! Federico le indica il cielo e sussurra : ”Tutto ciò che possiamo fare è tentare di raggiungere la consapevolezza che siamo parte di questo imperscrutabile mistero che è il creato. Ubbidiamo alle sue leggi inconoscibili, ai suoi ritmi, ai suoi mutamenti. Siamo misteri fra i misteri”.
Non vi sfugge, vero, che qui siamo molto, molto vicini a Filone di Alessandria e ai sogni di Giuseppe, che anche per Fellini sono “presentimenti e premonizioni”, “messaggi provenienti da un universo di incontri misteriosi” in cui il de-scriverli e il di-segnarli è un modo per farli accadere. Anche Federico sa, come Giuseppe, che la sua dolorosissima rinunzia al Mastorna è “la rinunzia severa e perentoria a ogni sguardo nell’aldilà” (Giuseppe in Egitto, p.603). Davvero siamo misteri fra i misteri!
E visto che di sogni stiamo parlando, converrete con me che in tempi di rinuncia forzata ai riti del consumismo sfrenato cui eravamo abituati, dovremo pur ragionare sulle risposte che i nostri politici si danno (e ci danno) a proposito dei sogni cosmopoliti della nostra amata città. “Di che colore sarà la notte riminese nel prosieguo del terzo millennio”? Il metodo allegorico di Filone sembra invitarci a ragionare su “come riconvertire la vocazione cosmopolita” di Rimini nella direzione della cultura e della qualità della vita, invece che del virulento orgasmo economico di massa che è stato il modello fin qui perseguito. E in questo sforzo di ricominciare a “pensare alto” potrebbe celarsi una straordinaria opportunità , quella di pensare Rimini come Alessandria d’Egitto , invece che come Strasburgo o Bilbao!
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