L’immaginario felliniano aleggia, letteralmente, sulla città di Rimini. Lo percepite ovunque, non solo addentando un panino dedicato ai suoi personaggi. È nell’aria che respirate, non solo nei cantieri, momentaneamente stoppati dal Covid, che preparano il prossimo esordio del più grande parco tematico mai realizzato in un centro storico, in onore di questo genius loci. Strofinate coi piedi il selciato come Aladino la su lampada magica e Federico Fellini appare, a dispetto del fatto che abbiate visto meno, che vi siano piaciuti o meno, i suoi film.

Amarcord è qui, memoria collettiva penetrata fin nei pori più reconditi delle nuove generazioni che certamente non l’hanno incontrato passeggiare di notte assieme al suo amico Titta, quando ancora gli aperitivi e i calici di Spritz non avevano ancora invaso, strappandole alle auto, le carreggiate di quello che una volta era solo “un borgo” mentre oggi è una città in piena effervescenza. E la notte era più buia.

Suggerirei ai più giovani di leggere Patachedi, il racconto delle loro scorribande scritto da Titta Benzi, un titolo che è un programma, quintessenza dell’anima riminese. E anche Storia in briciole di una casalinga straripata, della sorella di Federico, Maddalena, che getta uno sguardo da dietro le quinte su questo incredibile personaggio che ha marcato per sempre, prima ancora che la storia del cinema, l’antropologia stessa della nostra città, “dolce vita” fantasticata, il Rex su cui viaggia l’immaginazione irrequieta delle nuove come delle vecchie generazioni di riminesi…

I suoi film forse non piacciono, né ai giovani né ai vecchi, ma gli spot ispirati a Fellini, come camme di moderni youtuber , blog visuali, piacciono da matti: lo zio matto che da in cima all’albero grida «Voglio una donna!», la suorina nana che gli sussurra «Vin zo’ , pataca!»; l’Anitona alla Fontana di Trevi, insomma tutta la summa dell’immaginario felliniano, i girotondi circensi, il toboga gigante, quella sì, è diventata un identikit riminese, patrimonio collettivo.

Federico, che era un genio, sapeva bene che il suo destino era quello di diventare un aggettivo. Lo dichiara pubblicamente, è la condanna che gli viene inflitta nel dopo morte del film fortunatamente mai girato, quel Mastorna che sempre ritorna, sulla terra – perché non c’è altro paradiso, per lui – col suo violino nell’astuccio, obbligato a suonare nell’inferno immaginario di una prova d’orchestra sgangherata, mentre il mondo crolla.

Ben guidati nel loro percorso formativo in Laba – la riminese Accademia di Belle Arti – dalla sensibilità e dalla bravura delle docenti Concetta Ferrario e Cristina Serafini, vere “editrici ” del progetto grafico che verrà presentato questa sera nel Laboratorio di scrittura all’angolo del Teatro Galli, i giovani grafici romagnoli hanno saputo trasformare questo “aggettivo” in “icona”, raccontando la loro idea di Fellini sulle copertine di una collana di Quaderni felliniani davvero da collezione.

Non sanno, forse, questi ragazzi, di essere testimoni inconsapevoli (ma assolutamente credibili) di un paradosso felliniano, appunto, che oggi si alimenta anche del dialogo perenne con l’amico Federico voluto da Sergio Zavoli, nell’Altra Dimensione, riposando vicini, nel cimitero di Rimini. Personaggi loro stessi, come tutte le altre comparse riminesi, di un film che nessuno ha mai visto perché Federico non l’ha mai concluso, come il Mastorna, un film che continua a girare ininterrottamente, fino all’ebetudine, come un mantra, come le musiche che Nino Rota continua a sua volta ininterrottamente a comporre e a far scrosciare, come in un temporale estivo, sull’immaginazione di questi giovani, bravissimi artisti…

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