Dopo una bellissima messa all’alba sulla battigia ci siamo ritrovati coi miei fratelli a fare colazione nel bar vicino a Luciano, il bagnino dove andavamo, bambini, tre quarti di secolo fa. Ultraottantenni o quasi, zoppicanti, col bastone, siamo come quei vecchi che parlano sempre a voce troppo alta, tradendo così la propria sordità. Vederci, se qualcuno ci ha visti – e ascoltati – dovevamo apparire decisamente patetici, fantasmi che ritornano sul luogo dei loro delitti infantili.

È stato al momento di pagare che sono inciampato nel deposito delle bombe! Sì, dico proprio le bombe-ghiacciolo che mi facevano impazzire da bambino, quando vedevo apparire Ali Babà, tarchiato, con le gambe muscolose lucide di sudore, la sua cassetta di legno bianca, coibentata con la stagnola, a tracolla. Doveva fare in fretta a vendere quei suoi strani ghiaccioli al limone, a forma di bomba a mano, venti bombe a  passeggiata. A casa intanto gelavano le altre, fatte col grattachecca, quella pialletta di alluminio con cui un altro ambulante grattava la stecca di ghiaccio a ridosso dell’Arco d’Augusto per farne sorbetti tricolori con sciroppi non raccomandabili. Abitava in via Balilla, Ali Babà, ma nessuno mi sa dire come si chiamava realmente. Chissà, forse era appena tornato dalla guerra o sarà stato ispirato anche lui dalle palle di neve pressata che Fellini stesso avrebbe riesumato anni dopo in Amarcord, ogni tanto dandogli un morso, perché la neve allora era ancora pulita. Insomma, si era inventato quello strano mestiere, Ali Babà, come lo slogan con cui apostrofava gli adulti: «Chi non bomba non tromba». E non era il solo. Subito arrivava l’altro richiamo: «Piangete, bambini, piangete che arriva Pippo!», una strategia di marketing che oggi pagherebbero oro. E dopo Pippo, con la sua appiccicosa frutta candita vagamente salata per la salsedine, uno stuolo di imitatori. Fra cui «Rieccolo!», che vendeva brigidini; e i venditori di cocco…

Beh, la bomba che con un ritardo di settant’anni mi scoppia in bocca è, se possibile, ancora più buona di quella di allora: forse perché, sbagliandomi, pesco nel pozzo-frigorifero quella sambuco, lime e menta prima di quella classica al limone, bianche entrambe, granite siciliane su stecco più che ghiaccioli. Meraviglie della guerra che stimola la genialità!

Oggi l’eredità di Ali Baba l’hanno raccolta due giovani imprenditori che ne stanno facendo una start-up. Suggerisco loro, sommessamente, per il loro marketing, non solo di rivedere Amarcord, ma anche di sfogliare quel poderoso trattato sugli armamenti alle soglie del Rinascimento intitolato pomposamente De re militari. Vi troverebbero l’illustrazione dell’antenata della loro bomba! Siamo alle soglie del Rinascimento, alla fine del Quattrocento, a Castel Sismondo, l’autore si chiama Roberto Valturio, un raffinato intellettuale al soldo del signore di Rimini per il quale scrive una sorta di futuristico “catalogo” di armi da guerra – alcune alquanto fantasiose e improbabili, per la verità – per propagandare le capacità belliche delle sue truppe mercenarie. Non sapeva, il signor Valturio, che sarebbe passato alla storia non tanto come teorico dell’arte militare, ma come autore del primo libro illustrato della storia dell’editoria: il primo a coniugare l’invenzione dei caratteri mobili di Gutenberg con l’utilizzo di tavole xilografiche, per “illustrare” gli  armamenti propagandati.

Al solito: «L’innovazione tecnologica viaggia con le gambe della guerra», scrive Franco Cardini nella sua bella introduzione titolata “Le bombe intelligenti di Sigismondo”. Come del resto dai fallimenti militari di Sigismondo nasce quel gioiello dell’arte e dell’architettura che è il
Tempio, “malatestiano”, appunto.

La storia fa davvero strani scherzi. E la propaganda di strumentazioni belliche è ancora oggi protagonista di molte fiere che hanno come “mercato” le quasi quattrocento guerre – avete capito bene: 400! – che si combattono in giro per il mondo, proprio ora, mentre state leggendo… Nihil novi sub sole. Una di queste si celebra non molto distante da Rimini, a Vicenza, ma Rimini c’è dentro fino al collo, essendo organizzata, dalla Associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni (una corporazione parrocchiale, si direbbe) e da Italian Exhibition Group (Ieg), una società mista che vede fra i suoi principali azionisti proprio il Comune di Rimini e la Regione Emilia-Romagna. Si intitola Hit show ed è prediletta da Matteo Salvini che vi si fa fotografare fucile in mano. Certo, in giro per il mondo c’è di peggio: il “Defence and Security Equipment International” (Dsei) di Londra, ad esempio, se vi interessasse investire in un carro armato invece del solito suv. Personalmente, da pacifista inveterato, preferirei che Rimini investisse nelle bombe di ghiaccio degli eredi di Ali Babà. E ne spedisse un cargo a Donald Trump, per consolarlo, se mai dovesse perdere, come ardentemente spero.

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