Intervista al Prof. Paolo Fabbri
Considerazioni in margine ad alcuni articoli dedicati a Roland Barthes e alla Semiotica
Detesto dover dire “Forse non mi sono spiegato”
quando in realtà penso: “Questo non capisce un c.”
“Proprio così. L’incomprensione radicale della dimensione simbolica del mondo, il positivismo e il naturalismo corrente ci fa leggere l’azione dell’Isis, con la sua capacità semiotica di attrazione e comunicazione efficace, come quella di un gruppo di fanatici diseredati che non hanno altra via che la lotta armata. Mentre non è affatto così”.
Paolo Fabbri è, insieme a Umberto Eco, il Lancillotto della semiotica, cosa di cui tutti parlano senza saper bene cosa sia.
“Una cosa bizzarra. Se alla stessa persona dici che ti occupi di neurologia molecolare costui ti guarda con interesse, annuendo; se gli dici che lavori nell’ambito della semiotica ti fiocina con uno sguardo interrogativo. Io, dalla mia, ho pronta la risposta: non si preoccupi, la semiotica è un pesce esotico che nuota in nella profondissima fossa delle Filippine, molto, molto lontano da qui”.
Proprio così: pochi sanno cos’è la semiotica in Italia, eppure sembra che in molti abbiano deciso che è ora di farla finita con questa pseudo-scienza! – che impiega gli stessi metodi con Topolino e Dante, e sviscera con eguale virtù l’arte di far cucina con l’iconografia del Giudizio Universale.
L’occasione, ghiottissima, è rappresentata dai 100 anni dalla nascita di Roland Barthes, fino a una manciata di anni fa venerato come il guru dei semiotici per antonomasia, per il pop un po’ Platone e un po’ Freddy Mercury. Oggi, a prendere sul serio Alfonso Berardinelli che ne ha scritto recentemente è una sagoma da pigliare a freccette. Berardinelli ci spiega, col senno di poi, che “la semiologia, passepartout del critico letterario e del critico sociale, sedusse presto Barthes: prometteva di accrescere i suoi poteri analitici” e gli fece conoscer figure intellettuali importanti – Lévi-Strauss, Lacan, Althusser. “Ma fu proprio la semiologia a spegnere, limitare o paralizzare le capacità letterarie di Barthes, a sequestrare il suo talento (se c’era) e a depurare troppo la sua immaginazione di saggista. Di più: che la lingua di Barthes “soffrì di denutrizione, restò prigioniera in una rete di astrazioni”, e che, insomma, “oggi in Barthes sorprendono più le chiusure idiosincratiche che le aperture avventurose”, e che, ecco, “se si confronta la sua saggistica con quella di autori più anziani o più giovani, Eliot e Auerbach, Curtius e Ortega, Adorno e Wilson, Trilling e Steiner, il sofisticato orizzonte intellettuale di Barthes finisce per apparire ristretto, quasi provinciale e il suo successo internazionale quasi inspiegabile” (Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2015).
Paolo Fabbri, che di Barthes è stato allievo (conferenze su di lui a Urbino e a Roma, la settimana scorsa, in una specie di maratona per il confronto semiotico, e venerdì 27 p.v. alla Biblioteca di Misano Adriatico per ridiscutere i Frammenti di un discorso amoroso) non ci sta. Anzi non sa se essere scandalizzato o ridere.
“La ragione dell’attacco a Barthes è molto semplice: dall’Ottocento la cultura occidentale è positivista, – ragiona in termini di dati, anche mega – mentre la semiotica pensa per eventi e significazioni, si attiene al significato e al valore. Il realismo che ci attanaglia non ci permette l’accesso a una dimensione simbolica e alla sua efficacia. Così, ad esempio, come può un positivista comprendere il sacramento dell’eucarestia, che opera ex-opere operato? Pensa sia un’illusione, e magari ha ragione, ma non ne capirà il fondamentale fenomeno culturale”.
Barthes, per altro, rompe le uova nel paniere dei vetero marxisti. “Beh, sì. Barthes, che è sempre stato per una società senza classi (s’intenda: era un brechtiano) ci insegna che la storia è racconto. Apriti cielo, Carlo Ginzburg ha scritto che se le cose stanno così allora si apre la via al negazionismo dell’Olocausto. Eppure, Barthes ha detto una cosa semplicissima: che la storia è discorso storico ed è chi parla e li riporta a fare gli eventi. Allora si può parlare dei fatti storici scrivendo un romanzo, compilando un trattato, oppure costruendo un diagramma”. Un concetto chiaro come il sole, ma che faceva terrore. “I positivisti e gli scientismi presero questa come una dichiarazione definitiva: allora la storia è solo un accumulo di chiacchiere. In Italia, poi, la critica ai fatti duri&puri ha avuto come ripercussione politica la crisi della vulgata marxista. Un effetto che non hanno ancora perdonato a Barthes”. Così, accade che in Francia per il centenario della nascita del grande semiologo escono miriadi di pubblicazioni, sono in atto mostre importantissime (alla Bibliothèque nazionale de France, ad esempio, fino al 26 giugno, una rassegna ragionata di manoscritti su Les écritures de Roland Barthes), “e si fa anche musica: Bjork ha recentemente accennato al progetto di trarre un’operetta dai Frammenti di un discorso amoroso“. In Italia esistono invece quelli che chiamo ‘i silenziatori’. Personaggi che a un certo punto si alzano, impettiti, con il viso severo, e dicono, ‘ma no, questa è roba vecchia, torniamo alle cose serie’. Perciò, si torna a far nulla”.
Decisamente in controtendenza, invece, l’editore Guaraldi, che da qualche mese ha firmato un accordo con il Centro di Scienze Semiotiche di Urbino diretto appunto da Paolo Fabbri, ha dato vita a una collana di agilissimi eBook (con distribuzione cartacea on demand, a 6,00 euro cadauno!) dedicata proprio ad alcuni testi fondamentali dei “mostri sacri” della semiotica internazionale: da Lotman a Uspensky, da Lyotard a Baudrillard, da De Certeau a Bastide, e poi Greimas, Derrida, Marin, Goffman ecc.
Clamoroso il nome della collana: In Hoc Signo ! E clamoroso il fatto che tutti i testi miracolosamente ripescati da Paolo Fabbri delle conferenze originali tenute dai rispettivi autori a Urbino negli anni d’oro, siano ora pubblicati in una raffinatissima veste editoriale nella loro lingua orginale , contando sulla distribuzione planetaria di Amazon, Barnes & Noble, Kobo oltre che, ovviamente, di tutte le piattaforme dello stagno linguistico italiano. A proposito di “provincialismo”, che sia per questa “difficoltà linguistica” che la cultura italiana sembra aver fin qui snobbato questa iniziativa editoriale nata alla periferia dell’impero, lontano dalle ormai sdentate tigri di carta in via di accoppiamento? O perché qualcuno ha decretato che la semiotica è passata di moda?
Eppure, stando a quello che si dice con orrido eufemismo, i testi di Roland Barthes hanno ancora oggi una cocente“attualità”…:”Barthes ha parlato prima di tutti gli altri, ad esempio, di cibo e di moda. Adesso ne parlano tutti. Solo che pochi osano leggere il suo libro, Il sistema della moda. Troppo complesso?” si domanda strizzando l’occhio il Prof. Fabbri. Honni soit qui mal y pense.
Ma la sua conclusione è assai meno scherzosa: “Accade che gli oggetti proposti da Barthes siano al centro del nostro dibatterci nel dibattito, ma il suo metodo, arduo e ardito, è mal conosciuto e/o ignorato”.