Autore: Mario Guaraldi (Pagina 19 di 29)

Il Premio Strega e la retorica dei “piccoli editori”

premio stregaIl Premio Strega è ormai diventato un premio stregato: per avere la fedina estetica pulita è meglio non vincerlo. D’altra parte, chi lo ha vinto? Autori celebrati nelle antologie scolastiche (Cesare Pavese, Primo Levi, Alberto Moravia, Elsa Morante, che poi lo vinse per cortesia coniugale, essendo la moglie di Moravia), di cui gli studenti, giustamente, non ne possono più; autori canonici (Giorgio Bassani, Dino Buzzati, Paolo Volponi, Massimo Bontempelli) che ci siamo dimenticati di leggere come si deve.

Di solito, gli scrittori di genio vincono il premio per caso, come capitò a Tommaso Landolfi, che esattamente quarant’anni fa si portò a casa la bottiglia di Strega con uno dei suoi libri più brutti, A caso. Casualmente, pare, Ennio Flaiano fu il primo a vincere lo Strega, con il suo romanzo più bello, Tempo di uccidere; mentre il capolavoro assoluto (l’eccezione che conferma la regola) è Il Natale del 1833 di Mario Pomilio (lo Strega del 1983), che proprio per questo è fuori catalogo, rassegnatevi. Rassegnatevi, allo Strega vincono sempre gli stessi: solo gli editori-transatlantico ottengono lo Strega, o sei del club Mondadori (23 vittorie), Einaudi (12), Rizzoli (10), Bompiani (9) o sei escluso, patetico plebeo. Che poi l’appello di Umberto Eco, l’Humbert Humbert della letteratura italiana, sempre in cerca della verginità letteraria preclusa, è l’eco della sua vanità: urla allo scandalo a proposito dell’editore monstre Mondadori-Rcs perché altrimenti che senso hanno i premi, ma se il Gruppo Mondadori conta 44 Strega su 67 edizioni mi pare che un senso non ce l’abbia già. Detto questo, lo Strega, lo dice Tullio De Mauro, il Re Sole del Premio, fa eco a Eco e cambia il regolamento: da questa edizione esiste la “quota piccoli”, almeno un piccolo o medio editore sarà in cinquina.

Come si fa con gli ebrei che gli si perdona tutto per il senso di colpa riguardo all’Olocausto; come si fa con i gay, i quali, poveretti, sono discriminati, aiutiamoli. Un modo come un altro per mettere nel ghetto i “piccoli” editori, come se l’essere “piccoli” fosse un marchio d’infamia. Al contrario, in un Paese civile dovrebbero contare soltanto il contenuto, non la griffe; dovrebbe valere il romanzo, non chi lo stampa. In un Paese civile conta la bellezza del contenuto, non la grandezza del contenitore (anche perché, di per sé, un piccolo editore non è garanzia di niente, può stampare libri più brutti di quelli che stampa Feltrinelli).

Piperno si scola lo Strega
E poi, cosa vuol dire “piccolo o medio editore”? Marsilio è un medio editore (che orrore questo discorso dimensionale, è come se ti misurassero l’aggeggio di famiglia), Archinto un piccolo editore. Ma entrambi fanno parte del Gruppo Rcs. Ponte alle Grazie, Salani, Vallardi e Corbaccio sono medi editori. Ma fanno tutti parte del Gruppo Mauro Spagnol, tra i più potenti, editorialmente parlando, del Paese. Apogeo, Gribaudo e Kowalski sono piccoli editori. Certo, ma fan parte del Gruppo Feltrinelli. Non è che la tiritera buonista dello Strega sia il solito modo subdolo per premiare sempre i soliti Gruppi? Vabbè, però gli editori piccoli&puri esistono ancora. Pensiamo a Marcos y Marcos. Bella pensata. Editore dal catalogo bellissimo, ma il suo fondatore, Marco Zapparoli, è PRESIDENTE dell’Associazione Italiana Editori Lombardia, insomma, è uno ben intruppato nel sistemino. Se è per questo anche Polillo è una media casa editrice, ma Marco Polillo, già DIRETTORE editoriale Mondadori e Rizzoli, è l’attuale zar dell’Associazione Italiana Editore.Insomma, sbandierando De Andrè, si credono assolti ma sono tutti coinvolti. Scommettiamo che i veri piccoli editori (Ladolfi, La Vita Felice, Via del Vento, Guaraldi, Raffaelli, il Girasole, il Bradipo…) allo Strega non ci arriveranno mai? I 400 della Domenica hanno ben altro da leggere, e i “piccoli” hanno ben altro da fare. Sfornare libri straordinari, in una condizione sostanziale disamizdat, perché questo non è un Paese di libero pensiero né di libero mercato . Lo Strega lasci stare i “piccoli” (la “bibliodiversità” è brandita con la stessa ipocrisia dell’ecologismo di ritorno), stanno bene da soli. Semmai, il sistema conceda una competizione vera dei contenuti, non il solito parapiglia tra i soliti quattro al tavolo del re.

Davide Brullo

 

Lettera a Tullio De Mauro da parte di un piccolo editore

Caro Tullio,

leggo che ti sei fatto portavoce di un cambiamento del Regolamento del Premio Strega
per salvaguardare “quelle specificità e differenze che costituiscono la ricchezza del mercato editoriale italiano”: per questo, da questa edizione del Premio, tra i libri finalisti ce ne dovrà essere almeno uno “dei piccoli e medi editori”. E se nessun libro dei “piccoli o medi” arrivasse in cinquina, se ne dovrebbe “ripescare” un sesto per una finale allargata.
Tu chiami questa strategia ‘Clausula di salvaguardia’ e io arrivo a credere che tu sia in perfetta buona fede.
Ma a me che sono – come ben sai – “piccolo honoris causa” da sempre, pare solo una Clausola un tantino paracula (per mettere a posto le coscienze) e per nulla efficace.
Intanto, smettiamola di ghettizzare i ‘piccoli’. Lo sappiamo tutti che non è mai una questione di dimensioni, in letteratura poi… !
Vero e’ che il sistema corruttivo che ha da sempre caratterizzato i Premi taglia fuori inevitabilmente quegli editori che non hanno la forza commerciale di lanciare un buon romanzo in un sistema distributivo ormai in coma, che non sa assorbire più di 200 copie di autorucoli come Giorgio Saviane o Melville (!) figurarsi esordienti come Davide Brullo o autori eccellenti ma di lungo corso come Barbolini o Gian Ruggero Manzoni! Va da sé che un minuscolo editore di Pistoia come Via del Vento, ad esempio, abbia una presenza culturale titanica al cospetto dell’attuale produzione Mondadori; o che il catalogo di Stampa Alternativa o di Henry Beyle sia più eccitante di quello della Feltrinelli. Ma francamente desta scandalo che il più importante riconoscimento letterario italiano, lo Strega, pensi a un riconoscimento “coatto” della qualità letteraria espulsa dai cataloghi dei colossi dell’editoria e ghettizzata all’estrema periferia editoriale, invece di denunciare il meccanismo inceppato dall’attuale assetto monopolistico che controlla la distribuzione (gruppo Gems/Pde), alla faccia dell’anti trust; strangolato dalle politiche verticali delle cinque catene che controllano la quasi totalità delle librerie; soffocato da una concentrazione annunciata che presto controllerà il 60% della produzione editoriale italiana (Mondadori/Rcs). Senza considerare la irresponsabile miopia di una dirigenza dei Grandi Gruppi che ha ostacolato ogni innovazione digitale, ogni processo di riforma del sistema, complice una Associazione di categoria – l’AIE – ridotta a zerbino dei soliti noti e a psicofarmaco delle relative crisi di panico per il crollo dei fatturati…
La tua “clausola di salvaguardia” – caro Tullio – sembra utile soprattutto a lavare la cattiva coscienza di intellettuali a busta paga; ma un qualsiasi tenace e ostinato piccolo editore non ci sta a essere imprigionato nel gulag dei “piccoli editori”, quelli con il marchio della sfiga . Gli amici della domenica si son mai presi la briga di leggere ciò che pubblicano questi piccoli, speciali editori?
Ti dico la verità, Tullio: noi non vogliamo la tutela né l’aiuto né l’approvazione del Premio Strega. Io ho vissuto benissimo tutta la mia francescana e lunga vita editoriale senza mai partecipare allo Strega. Fiero di avere un bilancio più modesto di quello di una bancarella al mercato di Rimini, ma un catalogo più “ricco” di quello RCS! Pretendo rispetto, Tullio: non parlare più dei ‘piccoli’ in maniera strumentale…
Se ti interessa davvero il “benessere” della piccola editoria, spingi caso mai per costituire un “piccolo” gruppo, tra i giurati, che rappresenti gli editori di cultura senza qualifiche dimensionali.
Come sarebbe bello se lo Strega facesse sentire alto il suo grido di dolore per la qualità scomparsa dai libri partecipanti, subdolamente avvelenata da quel marketing che alligna nelle redazione e che assomiglia sempre più a una strategia di marchette fatte a misura dei vari Premi vissuti solo come boccata di ossigeno per le vendite sempre più scarse.
E sarebbe fantastico se anche un Premio prestigioso come lo Strega facesse propria l’invocazione di una vera Costituente per il Libro che personalmente ho fin qui inutilmente gridato al vento.
Perdona lo sfogo.
Tuo
Mario Guaraldi

I quotidiani sono tutti uguali. Scarsa fantasia?

Ernesto-Ferrero-2

Quanto sono utili le “terze pagine” dei giornali nazionali. Prendiamo sabato scorso. La coltissima “Stampa” dà la penna a Ernesto Ferrero, che è direttore del Salone del Libro di Torino, è stato direttore editoriale Einaudi, perciò stampa i suoi romanzetti per Einaudi e ovviamente recensisce l’ultimo libro Einaudi che raccoglie I pareri di lettura dei consulenti Einaudi (tra i quali è riportato quello di Cesare Pavese sulla «favola dei nidi di ragno» di Italo Calvino, «il primo racconto che a mio parere faccia poesia dell’esperienza partigiana», perciò «senz’altro da stampare», alla faccia della statura intellettuale). E vabbè, affari di casa sua. E no perché la coltissima “Repubblica”, stesso giorno, affida a Simonetta Fiori una recensione allo stesso libro. Vabbè ma ci sarà anche altro. Yes: la recensione di Paolo Mauri su “Repubblica” di Animali domestici di Letizia Muratori, stampa Adelphi. Non preoccupatevi, sulla “Stampa” la fa Lorenzo Mondo. Vabbè, ma è cultura, che palle. Giusto. Apertura spettacolare di “Repubblica” su Bob Dylan che canta Frank Sinatra, firma Gino Castaldo. Sul “Corriere della Sera” Andrea Laffranchi firma un pezzo analogo, anzi, uguale. Lo titolano pure allo stesso modo: “Dylan canta Sinatra”. Tanto vale, di tre quotidiani farne uno, giusto?

Davide Brullo

 

Giornata della Memoria 2015

L’omaggio ai lettori: un racconto inedito di I. B. Singer

Isaac B. Singer (1904-1991) è lo scrittore dei perduti. Anzi, della perdizione, dello smarrimento. Anzi, dell’esilio che non concede ritorno e non ammette terre promesse, non promette nulla. Non a caso quando, manco fosse un santo, Singer si è scritto l’autobiografia in tre tomi l’ha intitolata Love and Exile, che però in italiano, mimando l’ultimo libro, Lost in America, diventa Ricerca e perdizione.
L’uomo, secondo Singer, cerca l’amore e non lo trova, cerca una patria e non la trova, cerca Dio e Dio non c’è. “Anche se sono indebitato fin sopra i capelli, all’Onnipotente non devo nulla: finché continua a mandarci questi Hitler e questi Stalin è il loro Dio, non il mio”, dice l’ebreo Max Aberdam, scampato al regno dell’Olocausto, in Anime perdute. Ancora una volta, sempre, storie di perduti.
Singer è il più grande narratore ebraico del secolo scorso (perciò, di sempre), ostinatamente legato alla lingua yiddish, cioè una lingua perduta e anacronistica, che fece rintoccare pure davanti ai parrucconi dell’Accademia Svedese, quando, nel 1978, andò a ritirare il Premio Nobel per la Letteratura, discettando in quella “lingua di esilio, senza una terra, senza frontiere, non sostenuta da nessun governo”. Pur latrando che “la nostra generazione ha perduto la fede non solo nella Provvidenza, ma anche in se stessa”, Singer, che aveva una idea tutta sua dell’Olocausto (non era una ‘questione ebraica’ ma un orrore che metteva in questione l’intero essere umano; e non solo, visto che nei riguardi di “tutti gli altri esseri viventi” gli uomini “sono tutti nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno”), non poteva “accettare l’idea che l’Universo sia un accidente fisico o chimico, un risultato della cieca evoluzione”.
Narratore immenso, eccellente romanziere (Satana a Goray, Il mago di Lublino), ancor più eccelso scrittore di racconti (raccolte di culto come Gimpel l’idiota, Un amico di Kafka, L’ultimo demone), questo agiografo dei perduti e dei perdenti non stava simpatico a nessuno, soprattutto agli ebrei. Perché era animato da una feroce compassione che non distingueva tra fedi religiose e partiti politici. Singer amava mettere in crisi le certezze altrui, imbarazzare e svergognare chi ha la risposta ideologica a tutto. Come in Inventions, racconto scritto nel 1965 in yiddish, tradotto due anni dopo, ma rimasto sostanzialmente inedito: scoperto da David Stromberg lo scorso anno, tra le carte dell’Harry Ransom Center di Austin, Texas, è stato pubblicato in pompa magna dal New Yorker. In questa specie di Canto di Natale per trinariciuti, Singer immagina un leale lancillotto del partito comunista smarrito e messo in crisi dall’apparizione notturna dello spettro di un amico. Dar fede all’irrazionale, ovviamente, significa “abbandonare tutto: comunismo, ateismo, materialismo, partito. Cosa avrebbe fatto, allora?”. Eppure, bisogna perdere tutto, per ritrovarsi. In fondo Singer non narra altro che lo smarrimento di Dio, un padre che non riconosce più la sua creatura.

Davide Brullo

Il Comunismo sconfitto da un fantasma

Da quando mi sono trasferito in campagna, alle dieci di sera ho sempre sonno. Mi corico insieme ai miei parrocchetti e alle galline nel pollaio. A letto, inizio a sfogliare “Fantasmi viventi”, ma devo subito spegnere la luce. Un sonno senza sogni – o un sonno con sogni di cui non ho memoria –  si impadronisce di me fino alle due del mattino. Alle due, mi sveglio completamente riposato, la testa brulicante di progetti e idee. Una notte d’inverno, mi è venuto in mente di scrivere di un comunista, anzi, di un teorico comunista, che partecipa a una conferenza organizzata dalla sinistra sulla pace nel mondo e vede un fantasma. Ho immaginato tutto chiaramente: la sala riunioni, i ritratti di Marx e di Engels, il tavolo coperto da un panno verde, il comunista, Morris Krakower, un uomo basso e tarchiato con capelli a spazzola e un paio di occhi d’acciaio dietro lenti spesse attaccate al naso. La conferenza si svolge a Varsavia, negli anni Trenta, l’era del terrore stalinista e dei processi di Mosca. Morris Krakower nasconde la sua difesa di Stalin dietro il gergo della teoria marxista, ma tutti capiscono dove vuole andare a parare. Nel suo discorso, egli proclama che solo la dittatura del proletariato può assicurare la pace, e, quindi, nessuna deviazione, né a destra né a sinistra, può essere tollerata. La pace mondiale è nelle mani del N.K.V.D., la polizia segreta sovietica…

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