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La Sagra dello Strozzalibro

Rileggo con disagio, a un anno di distanza,  la mia cronaca del  penultimo Salone del libro: impietosa, nel senso letterale del termine.

Non mi  rendo conto, quando scrivo,  di avere una prosa così violenta, così totalmente mancante di pietà verso ciò che osservo. Credo dipenda dal fatto che mi è difficile considerare meritevoli di pietà il luogo comune, la stupidità, la grettezza, la banalità, la volgarità,  il pensiero burocratico. Eppure dovrei sapere che proprio queste sono  le vere forme di povertà  che meriterebbero più misericordia.

Sapendo ahimè di non riuscirci,  mi sforzo di guardare con occhio diverso  questo povero ventiseiesimo Salone del Libro 2013, io che ne ricordo addirittura i palpiti della sua nascita, nei Padiglioni della vecchia Fiera, come ne percepisco oggi  i tremori e i rumori di quella che non pare un’agonia, ma forse lo è. Mi impongo uno sguardo più pacato,  non solo perché vi  sono tornato dopo tanti anni in veste di espositore, contraddicendomi  , ritornando sui miei passi, piegando il mio cattivo carattere  alle nuove esigenze  promozionali della ennesima rinascita;  ma proprio per cercare di capirne il disagio che continua  a percorrerlo in profondità.

Scena prima

Dopo circa quarant’anni , un’inezia, passo a salutare Sergio Giunti. La sua Casa editrice era già un gigante quando io ero solo un iroso bruscolino, a Firenze, nei primi anni settanta; oggi è un colosso strutturato verticalmente (stabilimento tipografico) e orizzontalmente (varie sigle, distribuzione e Librerie).  Sergio è noto per la sua altezzosa scontrosità, mette davvero tutti in soggezione, nessuno osa andargli contropelo. Quasi impossibile avvicinarlo, dribblando i suoi funzionari-mastini.  Invece mi fa festa; e parla e dice cose sorprendenti con un sorriso che assomiglia a un ringhio: “Ho 1.200 dipendenti, se non fatturo almeno 200 milioni non pago lo stipendio che fa vivere 1.200 famiglie. Invece , il mercato è sempre più stento,  la carta è alla fine …”. Trasecolo.

Gli stand dirimpettai, Mondadori, Feltrinelli, più lontano RCS, barricati come castelli medioevali, brulicano letteralmente di sardine umane che dopo aver pagato un biglietto salato come si conviene  per entrare al Salone, comprano senza sconto gli stessi libri che avrebbero potuto  trovare, scontati,  nella libreria sotto casa , o su Amazon … I Dirigenti con la D maiuscola, gongolano: 50% in più di vendite rispetto all’anno scorso! Possibile ? E la crisi irreversibile di cui parla Giunti?  Qualcosa non torna…

Azzardo una ipotesi, sovvenendomi  dello sgomento provato nell’impatto con i miei 42 ragazzi diciannovenni del primo anno dell’Accademia di Belle Arti di Rimini, appena tre mesi addietro. Quanti di voi hanno letto un libro su un  e-Reader ? Tre.  Che titolo volete dare al saggio che dovremo progettare,scrivere e  impaginare, per questo corso ? “Nostalgia della carta” ? Quanti di voi hanno letto un libro di carta nell’ultimo anno ? Silenzio, brusii. Vi ricordate il titolo dell’ultimo libro che avete letto? No. Ma come si fa ad avere nostalgia di qualcosa che non conoscete? “Il libro di carta è comunque meglio, l’i-Pad è per vecchi, basta vedere chi  l’esibisce  sul treno” ( I vecchi hanno quarant’anni, n.d.r.) Cosa vi attira in un libro? “La copertina”.

Il pubblico del Salone è composto  in gran parte da orde di studenti  di ogni genere ed età in trasferta coatta, senza budget, collezionisti di segnalibri e gadget, i più intelligenti (e temerari) rubano qualche libro incustodito. Gli altri, le famiglie, i ragionieri,  le zitelle solitarie, le sardine, affollano gli stand dei grandi editori, comprano il libro del solito noto della televisione, esattamente come comprano porchetta gelata e strozzapreti collosi alle superstiti Feste dell’Unità e alle Sagre paesane, mangiando male e in piedi, pagando più di quanto costerebbe una buona cena in una normale  Trattoria… Il Salone non è che una piccola evasione dalla prigione scolastica e una grande Sagra paesana.

La gente ama la gente, è una festa perbacco!,  si compra one-shot, una tantum, una volta all’anno. Quando i piedi fanno male si torna a casa, si dimentica il libro appena comperato sullo scaffale  sopra il televisore. Se ne leggeranno alcune pagine, ci si accorgerà che è più facile guardare la TV e lo si abbandonerà al suo destino di preziosa  e noiosa rarità profumata di carta da godere al tatto.  Il prossimo budget di 20 euro riservato al libro  è per la prossima Sagra del Libro Fritto, fra un anno.

Nel frattempo chiuderanno altre 100 librerie,  il venduto cartaceo fletterà di un  altro 10% , gli eBook cresceranno fino a conquistare la vertiginosa quota di mercato del 3%, Sergio Giunti ululerà alla luna.

Quadratura del cerchio.

Scena seconda

A venti metri di distanza, il gigantesco stand biancoazzurro di Kobo, l’e-Book Reader concorrente del Kindle di Amazon, adottato da Mondadori, è quasi deserto. Fa il paio con l’altrettanto deserto Stand della Gran Loggia d’Italia ALAN, che non so cosa significhi. I mantelli bianchi dei framassoni  in esibizionistica passeggiata ben si addicono alla rarefatta atmosfera mistico-tecnologica di Kobo; sembra di essere sul set di Guerre stellari,  nuova puntata sul Grande Architetto dell’Universo . Bambinerie per adulti: moderne tecnologie di lettura e arcaiche simbologie templari.

Disertate in massa, entrambe, dai ragazzi: “roba per vecchi”, come dicono i miei allievi. Possibile ? Certo. Mondadori, partner Italiano di Kobo, si rallegra di aver venduto una milionata di macchinette e di eBook, alla faccia di Amazon. Ogni macchinetta venduta tre eBook in omaggio. E dopo ? Tasto  con la mano, dentro la cartella, i miei due eReader e il mio iPad. Mi vergogno quasi di confessare che dopo averli studiati per benino io stesso  li ho  abbandonati al loro destino di oggetti. Ripenso ai ragazzi dell’Accademia, stufi di tecnologie di lettura di cui non sentono la necessità.

Mi affretto verso l’unico incontro che mi attira, quello titolato “La strana coppia”, bel titolo per dire del rapporto fra libro di carta ed eBook, in libreria: alleati potenziali, non nemici. Com’è ovvio sul libero mercato, tre “gestionali” si contendono le vacche magrissime di 7-800 librerie.

Già dire “gestionale” evoca lo spettro di schermate complicatissime, roba da ingegneri, per scoprire che quel titolo, accidenti,  non è a scaffale, ma lo posso ordinare alla PDE , o alle Messaggerie, ma magari è esaurito (e via i codici gialli, rossi, verdi, come un pronto soccorso) e l’editore non ha interesse a ristamparlo nelle classiche 700 copie delle ristampe, costa troppo!; ma udite  udite: è disponibile in formato ePub, o forse solo in PDF , dunque lo puoi ordinare,  te lo trovi a casa sul tuo PC, o sul tuo eReader, ma non su Kindle, formato proprietario, e certo, c’è il problemino di una complicata interfaccia col la Piattaforma distributiva – a scegliere fra  Edigita, Book Republik , Simplicissimus e quant’altri –  si sa, bisogna proteggere l’autore con un DRM a prova di smanettoni, oppure no, chissà,  forse basterebbe il watermark…

Dopo le softerhouse parlano i gestori delle suddette piattaforme, dopo i gestori  gli editori che  concedono bontà loro i propri titoli, dopo gli editori  i librai… Ma perché – dice il simpatico libraio virtuale Rigoli – invece del gestionale, non offrire alle librerie di customizzare col proprio nome un bello Store digitale?

Fuggo col mal di testa e anche un po’ di nausea per tentare di entrare alla Lectio Magistralis di Gian Arturo  Ferrari sul Futuro del Libro e dell’eBook:  non si entra per eccesso di sardine.  Sospiro di sollievo: fatico a dimenticare quando nel 2000 mi sbracciavo a raccomandargli la necessità dell’email per i suoi redattori… Ma Gian Arturo è bravo e ci ha messo poco a cavalcare l’onda e a scoprire che quando piove bisogna aprire l’ombrello. O forse no: ho visto cose che voi umani….ricordate la pioggia che riga il volto dell’androide braccato e che prima di morire lancia la colomba?

Mi domando come si fa a sprecare occasioni del genere – il dibattito sui “rapporti” fra forme dello stesso contenuto – senza andare alla radice  del  “problema distributivo”.

Mi sembra così semplice: il sistema “analogico”  prima  produce delle merci, poi le distribuisce, con  tutte le contraddizioni e le complicazioni di cui sopra. Il sistema “digitale” consente di distribuire prima  i soli contenuti immateriali  e poi produrli  e consegnarli, on demand, nelle forme e nelle modalità richieste.  Si stampa  solo dopo aver acquisito l’ordine dall’utente finale. Personalizzato. Col  Marchio della libreria che ha raccolto l’ordine. Con la dedica alla morosa o alla mamma.. Elementare. Amazon lo fa da anni, senza che nessuno se ne sia accorto.  Basta fare la stessa cosa con gli ordini pescati in  Libreria invece che nel web! E’ la nostra proposta al Salone: un tavolo touch a disposizione del cliente, un mega Kindle collettivo, su cui visualizzare, sfogliare e ordinare il libro scelto da un grande  scaffale liquido.

Si contendano  pure i produttori di libri massmarkettari  i pochi metri lineari delle librerie per adescare la propria clientela: le altre migliaia di titoli prodotti dagli editori non staranno stretti  nei 30 cm quadrati  del nostro  tavolo touch , terminale bidirezionale che collega lettore, autore, editore in un ritrovato circolo virtuoso, dove si può cercare, condividere, comprare, caricare i propri files per un autentico self-publishing , con la mediazione di un libraio che finalmente ritrova la sua identità di “aggregatore” (argh, parola maledetta!)  di propensioni , interessi, passioni … Un ritrovato social network  fatto di gente viva che si frequenta, nella realtà come in second life poco importa, che  se obesa e solitaria, sa ironizzare sui propri avatar longilinei e bellissimi, che non disdegna di entusiasmarsi per le nuove frontiere tecnologiche che espandono le proprie potenzialità senza necessariamente sfociare nell’onnipotenza o nella banalità dei fiori di Bach…

È una prospettiva ben diversa dalla sorda guerra fra produttori di macchinette tecnologiche per masturbatori solitari, cellulari ultra-potenti da usare rigorosamente in solitudine, per scarafaggi umani che fuggono la luce che impedisce di vedere dentro il proprio iPhone, le dita sempre in  movimento a rincorrere qualche amicizia inesorabilmente lontana.

Il mondo dei libri è un mondo di contenuti, non di forme.  Non è un problema di carta o di eBook. Il libro è un servizio, non una merce.

Scena terza

Cerco inutilmente nel programma gonfio di incontri, nelle sale blu rosse e  gialle, nei caffè sponsorizzati dai cioccolatai, qualcosa di diverso dalla promozione vendite.  E’ una macroscopica occasione perduta nel brusio di mille voci che si sovrappongono, quelle dei  venditori  ambulanti di merci ben confezionate, di corse al ribasso, di occasioni da non perdere,  libri a 99 centesimi, hard cover  con sovraccoperte in trancia e oro a caldo a 9,90. La crisi del libro affrontata sul tema del prezzo, su margini calcolati in centesimi . Nessuna capacità di guardare all’orizzonte, gli occhi fissi alla terra bassa del mercato. Una gigantesca opportunità sprecata. Quella di una Costituente per il libro, ad esempio, che riunisca editori, distributori e librai per ridisegnare una nuova modalità di progettare, produrre e distribuire contenuti ai quali continueremo a dare il nome di “libri” ma che saranno tante cose diverse, a partire dai servizi per la formazione a scuola,  protagonisti gli insegnanti, non il gruppetto di editori monopolisti dell’editoria scolastica. Invece, sorprendentemente, vedo solo colonnelli e generali disquisire nelle salette riservate degli stand delle Forze armate, di terra di aria e di mare,  carabinieri che distribuiscono  il loro monumentale calendario, poliziotti in divisa offrire al pubblico matite e gadget di varia natura, crocerossine che distribuiscono caramelle fasciate nella  loro candida divisa. Cosa centra tutto questo col Salone del libro ? Sono questi i nuovi protagonisti del dibattito culturale nel nostro Paese ? Sull’altro versante della cultura materiale ecco  i ricchi mega-stand delle Regioni che affettano prosciutti d’Abruzzo a go-go, calici di pregiati vini piemontesi, formaggi ciociari, speck trentini… Concorrenza sleale, quella del cibo rispetto alla carta. Cibo che invade il mondo della carta, i libri di cucina affollano un’intera area del Padiglione 1.

La nostra Storia del cibo negli ultimi due secoli, di Piero Meldini è un pesce culturale fuor d’acqua che cerca invano ossigeno fra i fornelli della Clerici e le aride padelle della Parodi…

Cerco una conclusione, un bandolo, senza trovarlo: non per eccesso di complessità, ma al contrario. Per eccesso di ovvietà .

Gli editori che gremiscono il Salone sono come bisonti al galoppo verso il baratro che non vedono: pesanti come i loro scatoloni di libri, la merce più pesante che esista. Pesanti nei contenuti, nella grafica, nel modo di proporsi al pubblico, merce da bazar, contenuti affastellati: libri da frittata, appunto.

L’immagine finale di Blade Runner  mi sembra la più appropriata per concludere questo post.

Il libro-colomba lanciato nella pioggia della crisi dal morente editore (Roy Batty) che si credeva immortale è la sola ragione di speranza. Come la bella replicante Rachael, salvata da Deckard, che pure non si sa se vivrà…

Perché un blog nel Far Web

“Le date di ieri sono i dati di oggi offerti nel modo più tempestivo. La bruciante attualità è un deja vu“. La citazione è di Paolo Fabbri, introduzione a Profezie da due soldi, un libricino quasi introvabile del 1999 , ovviamente autoprodotto, del sottoscritto…

Scusate se, per l’esordio, la prenderò da lontano per giustificare un titolo così impegnativo.
Rileggo il breve testo del grande semiologo mio amico alla luce di tre fatti di bruciante attualità: la class action contro Google, lo sbarco in Europa del Kindle di Amazon e la recente iniziativa del Mulino di “aprire” agli studiosi 300 titoli del proprio catalogo.

“Il profeta pronuncia al futuro non ciò che accadrà, ma quel che deve avvenire. Dice il necessario, non il possibile. E dice anche quel che vorrebbe non avvenisse (…) Avvertito dalla profezia, c’è chi cambia il comportamento che porta diritto alla calamità (…): il profeta efficace è quello che si sbaglia, perchè riesce così a trasformare il mondo”…

Dunque, le cose stanno pressapoco così: dal 1991 – data in cui ripresi a pubblicare col mio nome dopo dodici anni di assenza dalla carta stampata, iniziò il rovello innescato dal miracolo del desktop publishing! Nel 1997 organizzai a Rimini un clamoroso match fra Umberto Paolucci (Microsoft) e Diego Piacentini (allora AD di Apple Italia), titolandolo La sfida europea dell’informatica: per una realtà futura non solo virtuale.
Fu in quegli anni che alcuni di noi iniziarono a sospettare che il vecchio modo di produrre e distribuire il libro fosse arrivato al capolinea; e che il web fosse null’altro che il tipo, l’immagine del grande mare affrontato da migranti in fuga da una realtà amara e culturicida, con la speranza di trovare altrove condizioni di vita migliore, e libertà di cultura (ah, l’America!).
I “migranti” nel web erano, come tutti i migranti di tutti i tempi, i reietti, i poveri, gli illusi, gli orfani (delle ideologie, dei valori, del ’68), forse gli assassini di un modo di pensare (craxiano ?) che li opprimeva e sembrava loro semplicemente mortifero…

Le mie piccole profezie iniziano però realmente solo il 27 ottobre 1998, con una relazione al “Laboratory of future communication” di Berlino, presente, appunto, Paolo Fabbri. Il titolo era Il futuro virtuoso (non solo virtuale) del sistema editoriale europeo – Rischi e vantaggi di una rivoluzione in atto.
Il mio inglese era stentato ma mi dissero che riuscii a comunicare ad oltranza, nell’ordine, il mio mal dissimulato disprezzo per gli editori mass market, il mio astio verso i distributori-killer, la mia antipatia per i librai-edicolarizzati, la mia incazzatura per i bibliotecari-burocrati (categorie tutte a cui sarebbe bastato aggiungere il qualificativo “tradizionali”); e per contro, il mio entusiasmo per quei formati digitali (fantastico PDF !) che sancivano l’immaterialità dei contenuti e svelavano l’anima disincarnata dei libri!; la mia fiducia nel web come nuova autostrada distributiva a costo zero e la mia speranza che il “Print on demand” sarebbe diventato il nuovo modo di produrre e stampare libri da remoto. C’erano, in quegli anni non più di un paio di editori “modello”, in Europa, di questa nascente filosofia editoriale: soprattutto la francese “Zero Heure” , col mitico URL www.00h00.fr .

Da allora, di visione in visione, di convegno in convegno, di seminario in seminario, è stato come cercare di stringere fra le dita l’ologramma del libro a venire.
Gli editori italiani dapprima se ne fregarono, poi non capirono, quindi si spaventarono, infine cercarono di fare i furbi (come successe col borsellino elettronico del Ministero, per i Learning Objects): infine, decisero di giocare contro questa rivoluzione ( o evoluzione ? ) digitale che metteva a rischio il business della carta… e del copyright. Tutti, o quasi tutti: da Mondadori a Il Mulino.
Ma il consesso dei profeti aveva sbagliato profezia; e sbagliando aveva modificato il futuro, proprio come sostiene Paolo Fabbri… I big radunarono in segreto le loro truppe e si prepararono armi in pugno ad invadere il nuovo continente al seguito delle tre caravelle. Sentivano odore di oro…
Era infatti apparso Google, non tanto o non solo come potente ed pertinente motore di ricerca, ma come Biblioteca planetaria che intendeva garantiva libero accesso a contenuti librari in centinaia di lingue per milioni di titoli! Gli editori di tutto il mondo paventarono questa “libertà di accesso”, gli si coalizzarono contro e gli intentarono causa.
Era apparso Amazon come Libreria planetaria (rispetto alla quale Fnac e Feltrinelli paiono solo granellini di polvere): ma era ancora una libreria basata sul cartaceo: il web serviva solo per gli ordini, e dunque era “tollerata”. Ma ecco che Amazon si inventa Kindle. Una banale rivisitazione del vecchio Rocket e-book, si sarebbe detto, tranne che questa volta si tratta di “carta elettronica”, non di un PC dedicato! Kindle ha un successo straordinario e appare per quello che è: un “terminale remoto” di e-books in formato proprietario, soprattutto per gli studenti ( addio zainetti e chili di carta!) con una riserva alle spalle di alcune centinaia di migliaia di titoli. Gli editori scolastici italiani sudano freddo quando, pochi giorni fa, Amazon annuncia a sorpresa, il suo sbarco in Europa.

E cosa fanno gli editori italiani (ovviamente democratici e di sinistra)? Rispondono per bocca dei furbetti del quartierino bolognese: il Mulino annuncia in maniera roboante un libero accesso ai suoi 300 titoli! Idea fantastica, come il nome (Darwin Books), che indica un progetto “evolutivo” di libri consultabili sul server dell’editore. Peccato che sia una bufala, che in realtà non faccia accedere a nulla! Anzi il modello bolognese sembra, se possibile, l’apologia del vecchio caro Digital Restriction Management che si credeva defunto!
E c’è da immaginarsi che nei prossimi giorni assisteremo a una valanga di (finte) conversioni al Web 2.0. Che diamine, per soldi si cade volentieri da cavallo sulla via di Seattle…
Così va il mondo: prima vengono i profeti, e vengono bastonati; poi gli apripista, e spesso saltano su qualche mina anti-editore. Finalmente arrivano le truppe d’invasione (succederà prestissimo nel mondo della Scuola): occorre infatti che tutto cambi perché tutto rimanga immutato. I vecchi contenuti faranno prestissimo a mettere le ali da pipistrello del lato oscuro del digitale… Perché il vero problema – sappiatelo amici – è davvero quello dei contenuti …
Cosa dunque abbiamo prefetizzato a fare ?

Davvero il futuro non è che la riproposizione in nuova veste dei vecchi modelli di business? Davvero non esiste, da qualche parte, un Adriano Olivetti del Web 2.0 capace di investire su contenuti diversi, su un futuro infinitamente più dignitoso per i nostri figli, senza per questo rinunciare a produrre reddito ?
Davvero bisognerà attendere la fine della lotta fra maschi dominanti multinazionali, che sfoderano i rispettivi formati o le rispettive soluzioni proprietarie per far ritrovare spazio a quei contenuti di cultura avvelenati dal mass-market e dalla TV spazzatura? O sarà come profetizzava Rifkin, che assisteremo cioè alla nascita di una acefala Editoria senza editori ?

Io ero e resto ottimista. La civiltà è davvero una questione di contenuti, non di formati. Ai formati ci adatteremo sempre, come ebrei nella diaspora… Ma niente come il futuro del libro avrà bisogno di editori veri. Niente come il futuro del libro dovrà confrontarsi con contenuti capaci di sfruttare al meglio le nuove tecnologie. Meglio questo “Far Web” di inizio secolo del lodo Mondadori del secolo scorso col suo seguito di libri di Bruno Vespa. Meglio Google della Biblioteca di Padre Jorge nel Nome della Rosa. Meglio Kindle delle Messaggerie Italiane…

Cosa vuol dire fare l’editore

Mi diverto spesso a chiedere ai ragazzi cosa vuol dire fare l’editore e ogni volta scopro con rinnovato stupore come sia difficile cogliere l’essenza di questo strano “mestiere”: “l’editore è quello che scrive i libri (no! quello è l’autore), l’editore è quello che li stampa (no! quello è lo stampatore), è quello che li vende (no! quello è il libraio), allora li distribuisce (no! è il distributore)”.
Allora, cos’è un editore?
Mi perdonerete se la prendo un po’ alla lontana.
Alessandro Manzoni quando cominciò a pubblicare i suoi “Promessi sposi” continuava a correggere il suo testo man mano che i fogli andavano in stampa.
La stampa era fatta foglio per foglio e chi ha qualche esperienza da bibliofilo sa che non esistono quasi due edizioni dei Promessi sposi che siano identiche una all’altra, proprio perché il lavoro di scrittura, come giustamente sostiene Guido Conti, è una continua riscrittura del testo e questo “interagiva” con la tecnologia che allora veniva usata. La macchina tipografica era infatti una macchina lentissima, in cui i fogli passavano sotto un rullo che li comprimeva sulla composizione della pagina fatta con caratteri mobili, di legno o di ferro, messi in fila uno ad uno e “sporcati” di inchiostro; il foglio stampato veniva poi piegato in quinterni e finalmente rilegato. Mentre si stampava un foglio Manzoni faceva a tempo ad apportare correzioni alla composizione della pagina successiva!
Poi sono arrivate la linotype, delle macchine compositrici che erano come delle gigantesche macchine da scrivere collegate a un forno dove veniva fuso il piombo che formava una riga intera di testo; poi è nato l’offset e la rotativa : le macchine erano gigantesche ma macinavano migliaio di copie in pochissimo tempo ( i testi venivano incisi su un cilindro, che ruotava velocissimo); poi finalmente è arrivato il computer, il famoso desk-top-publishing. E questa è praticamente l’ultima innovazione tecnologica che ha rivoluzionato il modo di fare editoria.
Ma il computer è arrivato pochissimo tempo fa ed è fondamentale capire che la rivoluzione che ha apportato è ancora in atto. Siamo ancora, potremmo dire, nella fase del travaglio. E il “bambino” che nascerà da questo parto si intravede appena.
A proposito del titolo di questo incontro, un po’ apodittico, “Internet: necessità o amore” io mi permetterei di dire che è una situazione di fatto, come una nascita appunto, come un bambino che nasce. Certo, è frutto in qualche modo anche d’amore, nel senso che qualcuno ha progettato queste grandi trasformazioni epocali, pensate a Bill Gates che era un ragazzo della vostra età pochi anni fa, ma con una genialità straordinaria, che ha innescato un meccanismo straordinario di cambiamento della realtà. Noi siamo ancora dentro questo cambiamento che non è terminato. L’editoria è esattamente dentro questa fase di travaglio, di cambiamento quotidiano.
Una seconda annotazione.
Noi abbiamo appena costituito l’Europa; è vero che la Svizzera è in una situazione particolare ma voi percepite molto bene che c’è un processo di metamorfosi politico-culturale straordinario. Noi abbiamo sempre fantasticato sul fatto che la Svizzera parlava contemporaneamente quattro lingue ed era per noi un fatto affascinante … Ebbene, sapete quante lingue parla l’Europa? Ottantaquattro. L’Europa è una realtà politica e geografica che parla 84 lingue! Bisognerà limitarle, ridurle? Neanche per idea. La lingua è una ricchezza della cultura. Questa abitudine a pensare l’Europa come una realtà multilingue è una cosa recentissima perché fino a poco tempo fa i nostri ragazzi crescevano convinti che al mondo si parlasse solamente la lingua, se non addirittura il dialetto, che si parlava a casa loro. Internet, di colpo, ha svelato questa diversa realtà; di colpo attraverso Internet posso accedere alle biblioteche slovene, cecene, slovacche, ceche, scoprire che esistono dei paesi del Nord che non avevo mai sentito nominare, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia, cose fantastiche. Occorre dire noi abbiamo avuto anche un dramma storico che si è chiamato “cortina di ferro”, cioè la spaccatura del mondo in due grandi aree Questo ha creato non solo una spaccatura politica ma anche una spaccatura culturale; una parte delle culture che si sviluppavano di qua del muro non passavano dall’altra parte. Un’intera realtà ci è stata preclusa e grandi culture sono rimaste del tutto sconosciute. Internet e la nuova modalità di diffusione in tempo reale di culture, di lingue, di contenuti è diventato di colpo una specie di lente d’ingrandimento su ciò che ci era sconosciuto e produce delle modificazioni “culturali” di cui ancora noi non percepiamo le conseguenze.
Faccio ancora un altro esempio. Fino a ieri, per fare un libro, un editore doveva investire molto denaro, perché bisognava pagare il tipografo, il cartaio, il fotolitista, il legatore, dopodiché – dopo avere speso in anticipo tutto questo denaro – quel libro bisognava in pure distribuirlo; e la distribuzione era fatta di persone fisiche, di strutture organizzative, di depositi regionali, una rete estremamente complessa di commercio. Distribuire un libro non era molto diverso dal distribuire un pacco di spaghetti. Ma la differenza fra il libro e lo spaghetto è che il libro è sempre diverso uno dall’altro, un autore è diverso dall’altro, un lettore diverso dall’altro, mentre gli spaghetti sono sempre uguali! Tutto molto complicato!
Pensate ora a cosa succede nell’era di Internet.
L’editore finalmente considera il contenuto del suo libro come una cosa distinta dalla sua forma fisica, dalla sua forma merceologica. Il libro non è più quella cosa fatta di carta rilegata che uno trova in quel negozio che si chiama libreria. È fondamentalmente un contenuto immateriale. Il libro di Guido Conti è prima di tutto un contenuto immateriale: è nato nella testa del suo autore, si è trasferito nel suo computer e di lì prende tutte le forme possibili e immaginabili. Questo è quello che sta succedendo nell’editoria. Il libro è diventato un contenuto immateriale che può essere divulgato e diffuso via Internet, che può essere recepito, scaricato, stampato ovunque nel mondo, in tempo reale, a costo zero. L’editore, pertanto, può permettersi di pubblicare il libro in qualunque lingua perché non è più rilevante il contesto commerciale, la rete distributiva. Qualunque libraio del futuro, in teoria, potrà scaricare da Internet il libro che interessa il suo cliente, in qualunque lingua; lo stesso potrà fare il bibliotecario ovunque si trovi stampando ad Istambul, con le tecnologie della stampa digitale, una cinquecentina acquistata dalla Biblioteca di Lione. Questo è quello che si chiama distant publishing e print on demand. Io stampo su richiesta , a costi molto bassi, il file che mi interessa, prelevandolo da quella specie di serbatoio gigantesco che è Internet.
E importante capire che il file immateriale che viene distribuito attraverso Internet comprende esclusivamente la fase “tipica” del lavoro editoriale, senza più confusioni con tutti gli altri anelli della filiera tradizionale (il tipografo, ecc) : possiamo dunque finalmente rispondere alla domanda iniziale!
Il lavoro editoriale è quello che si esprime in un progetto comune dell’autore che ha scritto quel testo e dell’editore che lo ha scelto – individuandone le qualità – e pubblicato, cioè “reso pubblico”, diffondendolo. Il libro, diceva Escarpit è la sua diffusione. E oggi la sua diffusione è potenzialmente una diffusione su scala mondiale.
Innestando questo meccanismo a livello scolastico e a livello didattico, come abbiamo sperimentato con Guido Conti e la sua classe di studenti, abbiamo finalmente reso “visibile” il lavoro editoriale: una normalissima classe di ragazzi ha sperimentato dall’interno cosa vuol dire lavoro creativo, si sono addestrati a leggersi e a rileggersi, a scrivere e a riscrivere; e finalmente ha pubblicato il suo libro e lo ha diffuso fra tutti gli interessati, che in questo caso coincidevano in gran parte con gli stessi autori e i loro amici; ma l’esemplificazione, la modalità del fare editoria ha assunto un valore culturale enorme, un valore didattico straordinario e persino ha consentito l’innesco di un meccanismo economico sufficiente a rendere pagato il lavoro dell’editore perché quelle 100 copie vendute erano sufficienti, e il risultato economico, in microscala, poteva ritenersi soddisfacente. Ma soprattutto, il file – cioè il contenuto immateriale di quel lavoro didattico – è oggi in rete e teoricamente leggibile da migliaia di altri ragazzi.

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