da www.famigliedellavisitazione.it

BOLOGNA – Il nostro carissimo Gigi Pedrazzi ieri sera, 27 giugno 2017, ha celebrato la sua Pasqua. Il funerale sarà sabato 1 luglio 2017 alle ore 11, alla Parrocchia della Dozza (via della Dozza 5/2 40128, Bologna).

La camera ardente è aperta a Crevalcore (con ingresso da Viale Italia, di fianco alla chiesa), giovedì 29 giugno, dalle 9 alle 12 e dalle 15.30 alle 19 e venerdì 30 giugno dalle 9 alle 12. La salma arriverà poi nella chiesa di Sant’Antonio da Padova dove sarà visitabile dalle 17.30 alle 21. Giovedì 29 giugno alle 20.30 nella Chiesa provvisoria di Crevalcore è in programma anche un momento di preghiera per ricordare Luigi Pedrazzi. La sepoltura sarà sabato alle ore 16 nel cimitero di Sammartini.

Nel commento alla lectio di oggi, dove leggiamo la parabola “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?”, Giovanni ha scritto:

a poche ore dalla Pasqua del mio fratello e amico Luigi Pedrazzi, devo confessare che la consapevolezza mia e sua di essere ciechi in continua ricerca di luce, una cecità che sempre si ripresenta anche dopo aver ricevuto grandi e luminosi regali, ci ha sempre convinti che la luce non è mai un possesso, ma è sempre un dono“.

In un altro messaggio Giovanni ha scritto:

Fratelli carissimi, la Pasqua che il nostro Gigi ha celebrato poche ore fa mi coinvolge radicalmente e profondamente. La domanda che oggi il Vangelo di Luca propone al nostro cammino è stata per me e per Gigi di grande significato, perché la passione di pensiero e di azione che ci ha fatti incontrare e ci ha condotti insieme è stata la “lettura” poco ortodossa ma molto affascinante del versetto evangelico che accosta tra loro due ciechi, avvertendoli che un cieco non può guidare un altro cieco. Abbiamo avuto il regalo e la fortuna, credo molto per merito dell’anima luminosa e della vita splendida di don Giuseppe, di voler camminare vicini, invocando la luce che ognuno dei due sapeva di non avere per l’altro, ma di essere concordi in una incessante ricerca della luce, convinti che in realtà l’unica via per intravedere la luce è considerarsi sempre ciechi che cercano e invocano la luce. Oggi sono a ringraziare il Signore per questo compagno di viaggio appassionato di luce e quindi sempre in ricerca di essa. La sua partenza mi convince che anche per me è necessario dirmi disponibile per un ulteriore affidamento al Signore della luce.

Tornavo a fare l’editore, nel novembre 1991, dopo un esilio coatto di tredici anni, proprio con questo libro scritto da un amico ciellino, Valerio Lessi; e la cui veste grafica portava il sigillo di quell’art-director – Angelo Rinaldi – che avrebbe poi firmato il restyling di Repubblica.

Pedrazzi scriveva nell’incipit della sua brevissima prefazione, che la avevo voluta testardamente, con inspiegabile insistenza, quasi con petulanza: in nome della sua amicizia per mio fratello Gian Paolo, poi diventata mia solo in seconda battuta (per ammirazione, stima e una quantità di altri sentimenti non esclusa una certa invidia per la creatività e la capacità editoriale dell’uomo); lui in veste di “padrone di casa” del più bell’appartamento che abbia mai avuto, proprio sotto le Due Torri, nella sede del Mulino e dell’Istituto Cattaneo dove avevo lavorato in fuga dalla Bocconi; lui forse anche per “mitigare” il connotato ciellino di quella prima biografia del futuro “Beato” Oreste Benzi, mio primo Padre spirituale, cui mi legava un sentimento ambivalente. La zoppicante ricerca della mia strada spirituale mi portava non a caso a zigzagare fra le tre figure carismatiche che ho avuto la fortuna di incrociare: don Oreste, appunto, il primo; poi don Giuseppe Dossetti, per via di mio fratello Gian Paolo (fra i primi fondatori della Piccala Famiglia dell’Assunta); e da ultimo don Giancarlo Ugolini, figlio di don Giussani e “padre” della numerosa famiglia ciellina che aveva fondato il Meeting di Rimini. Ero insomma una specie di Giuseppe Flavio, “traditore” e “transfuga” permanente dall’esperienza totalizzante del marxismo degli anni ’60, incerto sul futuro cammino, orfano in cerca di Padri.

Gigi Pedrazzi e Valerio Lessi si respingevano, culturalmente, come due calamite di polo opposto, ma – miracolo – Gigi coglie il bandolo della storia nascente di don Oreste e “raccomanda” la lettura del suo libro a “non credenti” e “credenti” proprio perché vedano “un’interpretazione attiva e vissuta di ciò che il Vangelo attua tra gli uomini quando il cristiano vive ciò che dice”.

La fede c’è – scrive Pedrazzi – opera nel mondo, attraversa la Chiesa, la richiama al suo fondamento, la rinnova”. Ed ecco il guizzo ecumenico che lo caratterizzava: “Dobbiamo avere più fede nel disegno di Dio su di noi, i nostri familiari, i nostri ambiti di lavoro e di vita, ovunque si attuino comunicazione e comunione”, altro che divisione e contrapposizione!

Grazie Gigi, per questa lezione.

Mario Guaraldi

Non conosco personalmente Don Benzi e, neppure, qualcuno dei 486 fratelli che, attualmente, condividono nella comunità Giovanni XXIII, a Rimini o in 23 altre diocesi, la sua vocazione cristiana a conformare la propria vita a Gesù povero e servo e a condividere direttamente, per Gesù e con Gesù, la vita degli ultimi. Con un bagaglio così monumentale di ignoranza e di inesperienza, neppure l’amicizia antica per l’editore e la sua insistenza avrebbero potuto vincere la mia doverosa riluttanza a scrivere una prefazione a queste pagine, se la lettura delle bozze non avesse fatto nascere in me l’obbligo di partecipare, almeno con poche righe, ad un invito pressante: leggete questo libro. Leggetelo seriamente nelle sue tre parti reciprocamente integrative: a) la lunga intervista a Don Benzi sulla sua vita, su circostanze, modi, origini e conseguenze della sua vocazione; b) l’antologia di scritti occasionali del sacerdote romagnolo, rapidi e tuttavia così segnati dalla sua attenzione continua e sapienziale; c) la “regola” e i testi normativi della Comunità Papa Giovanni XXIII da lui fondata.

Se tu, lettore, non sei cristiano, leggendo questo libro avrai modo di vedere un’interpretazione attiva e vissuta di ciò che il Vangelo attua tra gli uomini quando il cristiano vive ciò che dice. L’ortoprassi produce un’inventività umile, quotidiana, coraggiosa. Attiva nella Chiesa, senza lacerazioni (sono esemplari tutti i passaggi tra Don Benzi e i suoi Vescovi), questa inventività si espande nella società quale esiste attorno a noi, attraversata da problemi, contraddizioni, debolezze che fanno l’oppressione e la paura, l’infelicità e il non senso della vita di tanti. Forse anche tu, lettore non cristiano, potrai concludere: “in chiesa ci deve essere qualcuno”, se chi ne esce, dopo aver pregato e adorato, vive cosi, come Don Benzi e i suoi fratelli.

Ma quanto più stringente e inquietante è questo libro, per te lettore, se sei cristiano, se ti senti e ti dici tale. Don Benzi non fa polemiche, non perseguita avversari, ma il suo modo di eleggere la condivisione delle condizioni di povertà e di emarginazione come regola fondamentale di vita cristiana esprime una radicalità evangelica che è ben rara attorno a noi e molto lontana dalle nostre abitudini di cristiani. La sua provocazione è forte, per noi, in ogni pagina, nel rendiconto di ogni mitissima e umile iniziativa: si tratti di bambini senza famiglia, di handicappati, di immigrati, di nomadi, di carcerati, di giovani nel tunnel della droga, o soltanto in discoteca; o di politici, di imprenditori, di sindacati; lo sguardo di Don Benzi vede le responsabilità delle omissioni diffuse e cumulative ma, in alternativa – senza polemica – subito ha chiara la possibilità di un comportamento personale e comunitario diverso, intrapreso con umiltà e perseguito con tenacia, forte perché omogeneo al Vangelo.

Certo Don Benzi ha un carisma di iniziativa e di franchezza, ma la profondità teologica della sua virtù è nel carattere comune, domestico, familiare e ordinario di un cristianesimo che nulla vieterebbe fosse più forte tra noi, più insegnato e più praticato.

Leggiamo dunque con serietà e viviamo con amore: la fede c’è, opera nel mondo, attraversa la Chiesa, la richiama al suo fondamento, la rinnova. Dobbiamo avere più fede anche nel disegno di Dio su di noi, i nostri familiari, i nostri ambiti di lavoro e di vita, ovunque si attuino comunicazione e comunione. Poiché Dio esiste e ci ama, la dimensione religiosa esiste in tutti e con la nostra condotta dobbiamo fare luce e non ombra a questa luce.

Luigi Pedrazzi